Videla, morte di un dittatore
L’inferno ha appena ricevuto un ospite scomodo. Dopo 87 anni, l’ultimo giorno è arrivato anche a lui. Un personaggio che è morto nell’unico posto dove poteva stare: il carcere. Per raggiungere l’indispensabile giustizia dei tribunali ci sono volute molte lotte e innumerevoli manifestazioni popolari. La prima condanna l’aveva ricevuta poco dopo la fine della dittatura in Argentina quando, nel 1985, fu accusato formalmente per la morte di 66 omicidi doppiamente qualificati. L’ergastolo arrivò insieme ad altri comandanti della giunta.
Ma la spinta finale è stata data dal governo dei Kirchner, che indirettamente è stato uno dei loro massimi sponsor: “Con i Kirchner è arrivato il mio peggior momento – disse Videla invitando invitando a prendere le armi – in difesa delle istituzioni basiche della repubblica”. Non sono facili da digerire le dichiarazioni alla spagnola Cambio 16. Nonostante i tre ergastoli, fino a ieri era sotto processo per il Piano Cóndor. Il governo di Cristina è stato rapido di riflessi e appena saputo della notizia è uscito sui media a ricordare che la morte era avvenuta in carcere e dopo un giusto processo, come volendo prendersi il merito politico di questo obbiettivo e in parte inevitabile fatto di giustizia.
Fra le organizzazioni dei diritti umani che in Argentina mantengono l’indipendenza dal potere politico, “La Casa de la Memoria” di Rosario ha intuito la reazione del governo e pochi minuti dopo la morte del dittatore ha commentato su Facebook: “E’ morto un genocida, condannato grazie alle lotte del popolo. Ma il suo progetto dura ancora nella scomparsa di Julio López (testimone “desaparecido” per la seconda volta dal settembre 2006). Nel sequestro pianificato di persone per la tratta. Nella repressione di chi lotta. Nei servizi di intelligenza infiltrati nelle associazioni popolari. Nell’uccisione dei popoli originari e contadini”.
Come dire a Cristina: finiscila col doppio discorso sui diritti umani. Videla fa morire con sé tante informazioni e secreti. Per esempio, il destino di molti scomparsi e circa 400 dei loro figli, che ancor oggi non sanno nulla della propria identità perché adottati illegalmente da, in alcuni casi, complici dei militari. Pure la dittatura aveva la sua santissima trinità: la Dottrina di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, la Scuola francese della guerra in Algeria e la gerarchia della Chiesa cattolica.
Se Videla è riuscito a provocare quanto male intendeva fare è perché era tutt’altro che isolato. Al momento del Golpe, consenso fra i cittadini, ahimè, non gli mancava. E fra i suoi complici tanti erano civile con potere economico. Per questo quando si parla di “Golpe militare” dovrebbe essere corretto con “Golpe civico-militare”. Fra questi civili poco civili, la P2 che fece notare il suo peso dentro il Corriere della Sera dal 1977, con l’insediamento di Franco Di Bella come direttore.
Forse non è inutile ricordare che alcuni dei massimi responsabile del genocidio formavano parte della lista di Castiglion Fibocchi, come ad esempio il generale della Marina Emilio Massera, deceduto nel 2010. E come andava l’economia? Il giornalista Rodolfo Walsh, poco prima di essere ucciso nel 1977, spiegò in una carta aperta alla giunta militare come l’inflazione annuale era pari al 400 per cento, e che la dittatura “riconosce come beneficiari la vecchia oligarchia della campagna, la nuova oligarchia speculatrice ed un selettivo gruppo di monopoli internazionale capeggiati da ITT, Esso, U.S.Steel, Siemens”. In altre parole, liberismo allo stato puro. Per quanto riguarda i diritti umani oggi in Argentina, la strada è ancora molto lunga da fare, come ricordava la associazione rosarina, ma con la sicurezza che nessuno potrà mai rivendicare l’operato di Videla senza subire l’indispensabile ripudio generalizzato e questo è, certamente, un punto da sottolineare e festeggiare.
Gustavo Claros
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