Verso Istanbul in autostop: da Zagabria Belgrado
Il coniglio nella gabbia di quel salone continuava a masticare noccioline, per tutta la notte ho avuto quel rumore martellante che non mi ha fatto chiudere occhio. Erano le 8.00 del mattino quando suonò la sveglia del cellulare, a Zagabria il tempo non era bellissimo. Dalla finestra dell’appartamento al terzo piano il panorama era sempre lo stesso, la fitta schiera di casermoni in freddo cemento armato animava la periferia della capitale. L’architettura post sovietica iniziava a stufarmi, ma il peggio doveva ancora arrivare, presto saremmo entrati nella cordiale Serbia, nazione tanto amata dai cugini croati.
Vesna la ragazza conosciuta tramite “couch surfing” ci preparò un’abbondante colazione, composta da uova, bacon e una strana poltiglia compattata simile alla nostra mortadella, reperibile al banco affettati del supermercato. Non ho avuto modo di comprare nulla di tipico da portare a casa, in primis per il ristretto budget, in secundis per la mancanza di spazio nello zaino. Conservai un po’ di spazio utile per qualche chilo di buon tabacco turco che avrei preso ad Istanbul a prezzo stracciato, se mai ci fossi arrivato.
Finii la mia tazza di caffè allungato con acqua bollente davanti allo schermo del computer di Vesna, la buona notizia fu che ci avrebbero ospitati a Belgrado. Avevamo un tetto sopra la testa nella capitale serba, una simpatica coppia aveva accettato la mia richiesta di couch surfing.
Circa 400km dividevano la capitale croata da quella serba, l’autostrada percorreva il confine bosniaco fino a raggiungere la Serbia del nord, Belgrado era a meno di un centinaio di chilometri dal confine. Fortunatamente nei Balcani tutto era apparentemente vicino.
Dopo una notte insonne a maledire il coniglio, pensai: fanculo l’autostop. Proposi a Met di prendere il treno, un treno che ci avrebbe portato comodamente da un posto all’altro. L’idea piacque subito al mio compagno di viaggio, ogni giorno più silenzioso. Eravamo allo stremo delle forze e non stavamo neanche a metà strada.
La stazione centrale di Zagabria era a poche fermate di tram dallo stabile di Vesna. L’idea era quella di inventare una storia plausibile per prendere quel treno che dalla capitale croata arrivava nella gioiosa Belgrado, senza pagare il biglietto. Mi spacciai per uno studente italiano che sarebbe dovuto ritornare in Turchia dalla Serbia, avrei dovuto prendere un fantomatico aereo da Belgrado per Istanbul e con me non avevo nient’altro che i documenti, poiché i soldi mi erano stati rubati poche ore prima su un autobus. Una storia che reggeva
Dopo 20 minuti di chiacchiere il controllore si bevve il racconto. Un racconto che ebbe validità per meno di mezz’ora. Sul treno venimmo buttati fuori, nelle campagne croate, da un altro anziano controllore che non parlava una parola di inglese. Eravamo a 30km da Zagabria.
Nella stazione di “Dugo Selo” scambiai due parole con un signore che attendeva il treno delle 11.40 proveniente da Zagabria. Lavorava per un’azienda apparentemente importante nelle immediate vicinanze. Mi mostrò la sua 24ore nel sedile posteriore dell’auto, i cerchi in lega appena comprati dal vicino carrozziere e insieme finimmo in un chiosco a mangiare una pizza coi peperoni e a bere un paio di birre.
Percorremmo i 10km che dividevano la stazione e l’autostrada a cavallo si un lentissimo trattore rosso fuoco. Dopo aver perso quasi l’intera mattinata tra le campagne croate, decidemmo di ritornare a Zagabria per poi cercare un passaggio per la Serbia, insomma iniziare da capo. L’impresa si rilevò più difficile di quanto pensassimo.
Sulla piazzola di sosta nell’immediata periferia della capitale era ora di pranzo. Attendevamo un anima pia che ci avrebbe condotto alla prima stazione sull’autostrada, ciò avvenne dopo molti tentativi. Fortunatamente incontrammo un ragazzo che riuscì ad accompagnarci fino al confine, ci avvertì delle politiche serbe riguardo l’ingresso dei turisti nel paese. Categoricamente con meno di 300euro in contanti non è possibile varcare la frontiera ed entrare in Serbia. La notizia mi fece sorridere, non avevo mai sentito nulla del genere. Paradossalmente al confine, la polizia di frontiera mi domandò quanti soldi avessi con me. Mi chiesero perché proprio la Serbia, perché in quel periodo dell’anno e perché non ero rimasto a casa, al sicuro. La lunga coda di automobili ha evirato eventuali controlli scomodi, l’autista spiegò che avrebbero potuto controllare effettivamente in nostri fondi monetari e rispedirci a casa. Con meno di 300 euro a persona non era possibile entrare in Serbia.
L’ultima “tranche” del viaggio verso Belgrado la facemmo a bordo di un furgone bianco, un operaio serbo faceva sponda tra Croazia e Serbia per una ditta di costruzioni. Non approfondii l’argomento, lui era molto impegnato a fumare e a parlare al cellulare, in più il suo inglese era pessimo. Fortunatamente ci scaricò alle porte della città, nel quartiere est di Belgrado. Le prime impressioni non sono state delle migliori. Infiniti casermoni di un grigio cemento coloravano il paesaggio. Le fermate degli autobus erano invisibili ai bordi delle strade, solo un cartello su un palo le distingueva. Noi non riuscivamo a trovarne una. Una ragazza ci accompagnò fino al centro, fino al punto d’incontro con i nostri “couch surfer”. Ovviamente erano in ritardo.
Michele Rinaldi
(3. segue)
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