Uomini e animali, cinesi e laowai
Shanghai — Oggi ho avuto quella che definirei una “fantastica idea del cavolo”: andare a vedere l’acquario di Shanghai. Erano mesi che volevo andarci (non c’ero mai stata) e stava iniziando uno di quei torridi pomeriggi estivi shanghainesi per cui starsene all’aperto non era decisamente un’opzione. E in più, visto che io qui al mare non ci posso andare, mi stuzzicava quantomeno andarci “da spettatrice”.
E’ in momenti come questi che ti rendi conto di: quanti sono i cinesi! In metro, per strada, in coda per entrare. Sono ovunque, e sono tantissimi. E in ordine sparso. Sì, lo so, avrei dovuto immaginarlo. Però, non lo so perchè, non me li vedevo i cinesi ad andarsene a passare la domenica pomeriggio all’acquario. E poi, particolare non di poco conto, il biglietto è caro: 135RMB (quasi 15EUR). “Al massimo ci avrebbe pensato lui a ridurre un pò le fila”, mi dicevo. Sbagliato.
L’acquario era affollatissimo. Strapieno di nonni con nipotini, di giovani coppie – la tanto sbandierata “classe media cinese” – con il loro pargoletto/la loro pargoletta, quel figlio unico/quella figlia unica che in settimana non vedono quasi mai, affidato/affidata ai nonni mentre i genitori sono al lavoro. Come sempre in questi casi, il problema non è solo o tanto la quantità di persone in circolazione ma come si comportano.
Oggi, la stragrande maggioranza non faceva la coda, era loud, si muoveva in ordine sparso senza troppo senso civico del gruppo che sta loro attorno. Per carita’, anche i turisti stranieri che c’erano ci hanno messo lo zampino: all’ingresso del tunnel dei pesci, ad esempio, un papa’ italiano ha pensato bene di spingere il passeggino (che gia’ occupava piu’ di meta’ del corridoio) e intanto fare un servizio fotografico ai pesci, intasando cosi’ il passaggio altrui. Alla seconda vasca, la mia presunta visita di piacere era gia’ diventata una tortura. Facevo il countdown per uscire. Gente ovunque, mani che sbattevano contro le vasche dei poveri pesci, bambini che urlavano.
Per tutta la durata del tour, ho pregato silenziosamente perchè le vasche dei pesci siano insonorizzate o loro abbiano – o in questo caso dovrei dire “godano” di – una qualche forma di sordità. Per i cinesi, poi, lo spettacolo era doppio: c’erano i pesci dentro le vasce, e c’eravamo noi laowai attorno. [Laowai e’ il termine con cui popolarmente i cinesi designano gli stranieri.]. Ed entrambe le specie erano oggetto dello stesso grado di stupore antropologico e di “osservazione clinica”.
(Ma vabbeh, a questo siamo ormai abituati, e tutto sommato e’ alquanto divertente.)
Ad un certo punto mi sono seduta a guardarmi attorno. Osservavo tutti quei pesci, di tipi e dimensioni anche molto diversi tra loro, dentro uno spazio cosi limitato, che scorrazzavano dall’alto al basso, avanti ed indietro, passando uno di fianco all’altro senza apparentemente far caso agli altri. Eppure, si sfioravano senza mai toccarsi. Ognuno pareva andare tranquillo e sereno per la sua “strada”. Si, d’accordo, loro sono guidati dall’istinto ma quel “traffico d’insieme” che ne risultava sembrava cosi’ composto e persino pacifico che m’e’ venuto da chiedermi da che parte del vetro stessero davvero gli “animali”.
E’ vero, mai paragonare Cina e Giappone. Però, mentre ero in questa agonia di tour, non ho potuto non pensare all’acquario Churaumi di Okinawa, dove sono stata circa un mese fa. E’ il secondo acquario più grande al mondo, bellissimo e molto interessante. Non era particolarmente affollato e i visitatori erano comunque silenziosi ed ordinati (e, per inciso, il biglietto m’è costato la metà). Lì sarei rimasta una giornata intera, ed è stata in ogni caso una visita riposante.
Oggi, dall’acquario di Shanghai, sono uscita esausta. Effetto di quella che si potrebbe definire “sopraffazione da cinesi”, una sensazione che chiunque abbia vissuto in Cina almeno un paio di giorni conosce bene. Sono tornata a casa e sono andata alla mia di vasca. L’ho riempita d’acqua fredda e mi ci sono immersa. A contemplare il silenzio. Un bene di lusso di cui abbiamo spesso nostalgia, noi laowai in Cina.
Silvia Sartori