Un giallo nella terra dei Dogon

Corpi che nel corso della notte si gonfiano e diventano cadaveri, l’ombra della speculazione edilizia, la magia. Si legge come un noir di Carlotto e incanta come una fiaba L’impronta della volpe, ultimo romanzo di Moussa Konaté (Del Vecchio editore, 192 pagine, 13 euro). Un viaggio nelle contraddizioni del Mali di oggi e nelle tradizioni dei Dogon.
Come si indaga in un mondo dove la logica cartesiana è sospesa, sorpassata dalla magia e dall’irrazionale?
“Senza rendermene conto, la disprezzavo, questa gente – riflette Habib il commissario nel pieno dell’indagine che vuole chiarire le strani morti avvenute a Pigui, nel cuore della terra dei Dogon -. Mi sono formato alla scuola occidentale, che mi ha insegnato la razionalità, il cartesianesimo […] Quelli con cui abbiamo a che fare qui non appartengono al nostro universo e non osiamo confessare che li consideriamo, dal punto di vista del pensiero, come primitivi. […]  Non si tratta, infatti, di far finta di capirli, ma di ammettere che hanno il diritto di avere il loro proprio universo”.
Il Mali, un paese dove convivono moderno e arcaico, razionale e irrazionale. Vero protagonista un popolo con radici ben salde e tradizioni antichissime: i Dogon. Vivono nella regione della falesia di Bandiagara, a sud del fiume Niger, in villaggi costruiti con il fango.
In uno di questi villaggi tre ragazzi trovano la morte in circostanze particolari nel giro di poche ore. Tutti hanno visto ma nessuno sembra sapere niente. Il caso viene assegnato dalle autorità maliane al commissario Habib e l’ispettore Sosso. La loro indagine è un’immersione completa nella vita dei Dogon: il paesaggio, i colori, i suoni, gli abiti, le maschere, i riti. Il tempo lì sembra essersi fermato; le credenze animistiche, i riti di divinazione e la magia hanno grande rilevanza. I due detective devono districarsi fra razionalità e credenza, scienza e tradizione. È sullo sfondo di una battaglia atavica fra interessi economici, spesso nascosti sotto il vago termine di progresso e autodeterminazione dei popoli, che questo giallo si dipana. Insieme al comandante Habib, e grazie i suoi straordinari dialoghi con le autorità del luogo, intuiamo che la razionalità occidentale non può bastare, che dobbiamo essere disposti a rinunciare al giudizio e alle nostre sicurezze, per capire, sentire e accogliere una cultura antica e ancora per certi versi misteriosa come quella africana.
L’autore
Moussa Konaté, ha insegnato alla École Normale Supérieure di Bamako, è il direttore della Association Étonnants Voyageurs Afrique (Amazing Travellers Africa Association) e, insieme a Michel Le Bris, è l’organizzatore del Festival Étonnants Voyageurs, una fiera libraria internazionale.
I romanzi polizieschi di Moussa Konaté sono pubblicati in Francia nella prestigiosa collana Série Noir della Gallimard. In Italia, è uscito per i tipi di E/O La maledizione del dio del fiume.

Ti potrebbe interessare