Terremoto, un anno dopo: le imprese. Gino e Iorio
Un anno fa, il 29 maggio 2012, alle 9 una scossa di terremoto con epicentro è situato nella zona compresa fra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, fece tremare l’Emilia portando morte e distruzione. Ora un anno dopo, AND vi propone questo fotoreportage di Massimo Pistore suddiviso in 3 parti: le persone, le imprese, la ricostruzione. Per non dimenticare
“Qui producevamo il 2% del Pil, non possono ignorarci” ripetono ostinatamente imprenditori, artigiani e lavoratori delle aziende colpite nel cratere del terremoto emiliano. Stando ai dati ufficiali della Regione Emilia-Romagna sono 4.800 i dipendenti che hanno perso il lavoro a causa della chiusura di attività produttive nelle zone colpite dal terremoto.
Iorio e Gino Grulli sono titolari della Manifatture Modenese, a Rovereto sul Secchia. La loro era un’affermata realtà delle passamanerie, con un capannone di 2500 metri quadri e nemmeno 10 anni di vita. Il 29 maggio durante la scossa erano al lavoro, quando una colonna ha ceduto facendo crollare il tetto del capannone: macchinari distrutti, produzione ferma, danni per milioni di euro ma soprattutto sotto le macerie rimane Anna, la moglie di Iorio, una dei 300 feriti del sisma. Anna finisce in coma e solo dopo alcuni mesi si risveglia: il 26 maggio Iorio e Anna si risposeranno proprio dove il dramma è avvenuto, nel capannone di Rovereto. Il desiderio era nato prima del maggio 2012 ma oggi trova un ulteriore significato per celebrare la rinascita della loro vita insieme.
Eppure è un lieto fine che non basta a risolvere i problemi dell’attività dei fratelli Grulli: riprendere il prima possibile era fondamentale perché perdere il treno delle ordinazioni vuol dire rischiare di essere fatti fuori dal mercato in breve tempo. Ma subito dopo il terremoto non ci sono capannoni disponibili nella zona per portare i macchinari salvati dal crollo: infatti sono tutti inagibili o da mettere in sicurezza secondo norme che considerano il nuovo rischio sismico. Gino e Iorio devono spostarsi fino a Sassuolo dove tengono viva l’attività in un capannone grande un decimo rispetto a quello crollato. Un investimento per il quale, fino ad oggi, non c’è stato alcun concorso da parte dello Stato.
Fino alle 9:03 del mattino del 29 maggio la Gruppo B scale di Mario Berlingeri a Novi è un’azienda che produce, paga tasse, stipendi e fornitori. “La mia ditta è stata danneggiata dal terremoto non da una mia cattiva gestione economica – racconta Mario – ma io che non sono proprietario del magazzino non posso ricevere aiuto. Perché?”. E continua “Mi è stato detto di non delocalizzare, e io resto a Novi anche perché questo è il distretto della produzione delle scale”. Ma neanche qui ci sono capannoni in affitto e i macchinari estratti dalla fabbrica inagibile devono essere lasciati all’aperto, dove si danneggiano e perdono valore. Mario non smette di lavorare, coinvolge nella produzione altre ditte, facendo anche assumere qualche suo ex dipendente (“i miei prodotti preferisco farli fare da chi li sa già fare”) e continua a dare la garanzia del suo marchio. Una situazione al limite, anche perché Mario per il suo basso merito creditizio non può beneficiare di prestiti dalle banche. Con un’eccezione, però. Quando il 20 dicembre 2012 lo Stato chiede il pagamento di tutte le tasse, comprese quelle arretrate dopo la sospensione dei mesi precedenti, si trova spalancate le porte per ricevere un finanziamento ad hoc.
Accade anche a Roberto Menga di Mortizzuolo di Mirandola, che ha un allevamento di vacche da latte per i caseifici del parmigiano reggiano. Un fatto che suona come una presa in giro agli occhi di chi da dodici mesi cerca di ripartire dopo il terremoto. Del resto i problemi per Roberto non sono solo i soldi delle tasse: i danni agli immobili e ai macchinari arrivano quasi a 2 milioni di euro. Il fatturato è calato e i clienti, specie quelli fuori dal cratere del terremoto, iniziano a non avere più pazienza. Per loro tutto è a posto ormai. Mentre per la ricostruzione Roberto prevede tempi lunghi. Gli stessi uffici comunali, cui arrivano le richieste di contributo, sono sotto organico e difficilmente possono rispettare i 60 giorni previsti dalla legge per
una risposta. Ci sono poi “gli uffici catastali che sono stati danneggiati dalle scosse, i rilievi da rifare” dice Roberto “ tutte carte che sono estremamente complicate, e si può solo aspettare”.
“A complicare la ricostruzione è sempre la burocrazia”, sottolinea Gabriele Pivetti di Coldiretti evidenziando un’altra assurdità della ricostruzione. Tra piani regolatori antiquati, vincoli paesaggistici applicati ad edifici senza particolare pregio, regole stringenti per ottenere i contributi, ci si trova anche a dover progettare ricostruzioni inutilmente costose e inefficienti. E’ il caso dei casolari di campagna, spesso molto più grandi delle effettive esigenze di chi le abita oggi e che potrebbero essere ricostruiti più in fretta e con minor spesa immaginando metrature ridotte. E’ così anche per le stalle crollate che la legge impone di ricostruire identiche ma, dice ancora Pivetti, “costerebbe molto meno farle secondo criteri più moderni e improntati all’efficienza”. Ma a dare un’idea dell’urgenza della situazione c’è anche il fatto che per un contadino, casa e campi sono tutt’uno, allo stesso tempo dimora e sede dell’attività.
Hanno vissuto tutti i disagi di chi ha continuato a lavorare in campagna dopo il sisma anche Danilo e Andrea Veronesi, coltivatori per conto terzi a Massa Finalese. Con la casa inagibile e non potendo lasciare incustoditi i macchinari agricoli, sono stati costretti a passare ogni notte in un container preso in affitto. ”Prima di mettermi a letto” racconta Andrea “ non mi spoglio come chiunque altro ma metto il cappotto: perché d’inverno la notte in un container è fredda e io non sono mica più un ragazzino.”.
Ad altri le cose vanno meglio. Come a Vivian Corsini di Rovereto sul Secchia. Vivian lavorava in casa per conto di una ditta alimentare: ha ottenuto un prestito dalla banca e, per rendere nuovamente agibile la sua casa, ha fatto lavori che verranno ora pagati dalla Regione Emilia tramite la cosiddetta ‘cambiale Errani’. Restano a suo carico gli interessi ma almeno è riuscito a ripartire. “Il vero problema sta nel trovare i tecnici capaci di compilare tutte le carte per ottenere i contributi” dice Vivian che, tra i pochi di cui si abbia notizia a Rovereto, sta vedendo onorati gli impegni pubblici.
(puntata 2 di 3: 1, 3)
Massimo Pistore (con la collaborazione di Carlo Calore)
“Massimo Pistore nasce a Bolzano nel 1974. Scopre l’amore per la fotografia durante gli anni degli studi universitari. Una volta laureato decide di fare per lavoro quella che era la sua passione: raccontare il mondo per immagini. Dopo aver collaborato per anni con il Mattino di Padova oggi è fotografo freelance, collabora con l’Università di Padova e i suoi servizi sono stati pubblicati anche su quotidiani nazionali come La Stampa e il Corriere della Sera e periodici come Diva e Donna, Famiglia Cristiana, Il Messaggero di Sant’Antonio.”
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