Il gioco delle coppie di Peter Fischli: “Stop Painting” (lato B)
La mostra “Stop Painting” (smettere di dipingere) ospitata alla Fondazione Prada di Venezia è curata dall’artista svizzero Peter Fischli con un’attenzione minuziosa.
Nei giorni scorsi And ha pubblicato una recensione “filologicamente corretta” dell’esposizione. Qui, invece, si prova a “navigare senza bussola”, senza leggere introduzioni, didascalie e cataloghi. Una sorta di “lato B” della recensione per i meno giovani, come una versione “papero quack” dei mai dimenticati 45 giri.
La mostra è ospitata in un contesto decisamente invadente, nelle sale del palazzo di Ca’ Corner della Regina a Venezia. All’ingresso, circondata da affreschi e stucchi del Settecento, Fischli ha collocato “Hudel”, una grande installazione di Jean Frédéric Schnydel composta da una serie di stracci che l’artista ha utilizzato dal 1983 al 2004 per pulire i pennelli mentre dipingeva.
Ai lati opposti, due opere diversissime tra loro: un quadro di i Jörg Immendorff, in cui un manifestante irrompe nello studio di un pittore chiedendo “Wo stehst Du mit deiner Kunst, Kollege?” (da che parte stai con la tua arte, collega?). Un “tazebao” più che un quadro, raro esempio di “populistic art” in cui tutto è chiaro, delineato, preciso, schierato e decisamente troppo spiegato. Dalla parte opposta, una classica “tuta blu” sporca di vernice che Michelangelo Pistoletto musealizza insieme ai suoi stivaletti argentati nell’opera “Vetrina – oggetti in meno” (1963).
Qui il contrasto tra arte e lavoro si veste di ambiguità e pone interrogativi meno espliciti e banali: se la tuta blu è un simbolo politico, perché quegli stivaletti? E’ una tuta blu “operaia” o è quella utilizzata dall’artista Pistoletto?
Essendo appesa al chiodo è comunque il perfetto biglietto d’ingresso di una mostra che si intitola “Stop Painting”.
Poco lontano, proprio all’inizio dell’itinerario consigliato dal curatore, sotto gli occhi della doppia coppia di occhi di Morag Keil (Eye 1,4 – 2018), si finisce di fronte a una grande impronta digitale (1960) di Piero Manzoni, riproduzione in scala aumentata di un’immagine utilizzata per l’identificazione personale. Tutti, però, sappiamo cosa identifica Piero Manzoni nel mondo e ritrovarci di fronte a una sua impronta digitale finisce per essere rassicurante.
Ma, superate le facili ironie, si seguono altre suggestioni che il curatore nemmeno può immaginare. Perché, probabilmente, Fischli non sa che in italiano il termine “digitale” ha una doppia accezione, “ciò che attiene alle dita”, quindi anche l’impronta, ma anche “il tipo di rappresentazione numerica dell’informazione che si contrappone all’analogica”.
Proprio a questa seconda accezione sono dedicate gran parte delle opere della sala. A un passo dall’impronta digitale di Manzoni, è collocato un telefono a disco (Marcel Breuer, Richard Schadewell, telefono Bauhaus prodotto da Fuld&Co – 1930) che ovviamente finisce immortalato da decine di suoi digitalissimi nipotini: gli smartphone.
Questo apprezzabilissimo gioco binario sembra addirittura rivendicato nella sala successiva in cui, uno di fronte all’altro, si trovano lo specchio di Dorian Gray (Ritratto in argento di Dorian Gray di Walter De Maria – 1965) e quello infranto di Lutz Bacher (Big glass 2008). Nessuno dei due riflette nulla o quasi, soprattutto non si riflettono tra di loro. Accoppiamenti che scoppiano e dialogano in silenzio. Un gioco delle coppie che prosegue ancora più esplicito nella sala successiva dove, a fianco di una porta chiusa di Ca’ Corner, è appoggiata una porta, opera di Olivier Mosset (2002).
Difficile, se non impossibile, non lasciarci travolgere da questo gioco dello coppie che, però, prosegue solo nella testa del visitatore, quando. per esempio, finisce per accoppiare all’opera in vetro di Armleder (Untitled 1979) la teca vuota con tanto di didascalia che spiega che l’opera prevista non è temporaneamente in mostra…
Un “gioco delle coppie” (Marco Columbro 1985) che, quasi inevitabilmente, ha prodotto una coppia di recensioni: un lato A e un lato B.
Ovviamente scritto da una coppia.
Massimiliano Boschi
Immagine di apertura: Morag Keil Ey e 1 – 4 , 2018 Four elements, oil on canvas 40.5 x 51 cm (each)
Courtesy of the artist and Jenny’s, Los Angeles Photo: Ed Mumford