Sognando Istanbul in autostop: verso Zagabria

(leggi la prima parte del viaggio di Michele. Tutte le foto – che illustrano Zagabria – sono di Michele Rinaldi)

Alle 7.30 del mattino suona la sveglia, dalla finestra della villetta slovena si percepisce un’aria gelida, è l’aria del primo mattino della periferica europa dell’est. Solo pochi minuti per rassettare le nostre cose, piegare con cura il sacco a pelo, che la colazione è pronta in tavola. Liza, la nostra ospitante, ci offre una tazza di tè e dei dolci comprati in un caratteristico supermercato sloveno. Met è di poche parole alle prime luci del mattino, sia io che lui siamo indecisi se prendere il primo treno che ci avrebbe riportato a casa, in Italia. Nella luce del mattino Lubiana assume una nuova prospettiva, appena usciti in strada vediamo la città svegliarsi, iniziare un nuovo giorno. La
prossima destinazione sarebbe stata Zagabria, in Croazia, a circa 150km ad est. Prima di partire controlliamo i posti strategici dove attendere un passaggio, un passaggio che inizialmente ci avrebbe portato fuori dalla capitale e successivamente fuori dalla ormai familiare Slovenia. “Hitch Wiki”, un sito/manuale per il viaggiatore autostoppista ci è stato di estremo aiuto. La versione inglese è scritta nel minimo dettaglio, consiglia perfino dove far colazione prima di rimettersi in viaggio. Con un autobus urbano arriviamo fino all’estrema periferia est della città, dove inizia la campagna slovena e il raccordo autostradale. Tra autobus e lunghe passeggiate con gli zaini sulle
spalle finalmente arriviamo all’imbocco del “ring”, un asse autostradale che gira intorno alla città.

Un enorme cartello posto nella direzione opposta “ljubljana Center” ci fa capire che stiamo andando nella direzione giusta.

Ripeto a Met ‘altri 1500km e arriviamo’ mentre attendo qualcuno che si fermi.Altri 4000km circa e siamo di nuovo a casa, in Italia. Altri 30 giorni e ritorniamo a cenare con i nostri coinquilini. Un’altra mezz’ora e ci derubano. Met non sembra prenderla molto bene, probabilmente non accetta quel determinato umorismo alle 8 del mattino. Il cielo coperto preannuncia un bel temporale. Fortunatamente dopo 20 minuti dei ragazzi si fermano per darci uno strappo, tre metalmeccanici che lavorano in una fabbrica a 30km ad est di Lubiana ci avrebbero fermato sulla prima stazione di servizio utile per chiedere un altro passaggio e continuare verso la Croazia. In macchina siamo in compagnia di un cane, un “pit bull” nero, docile come un cavatappi, molesto come un microonde. Jan, di origini olandesi, parla un discreto italiano, ha lavorato per anni in Toscana in un caseificio. Tra una sigaretta e l’altra ci racconta della sua vita slovena. Nessuna particolare differenza culturale e sociale si frappone fra noi, dopotutto solo pochi chilometri dividono i due Paesi. Invidio però la loro capacità di non lamentarsi delle proprie vite, a differenza mia, cresciuto in un Italia vittimista.

Il tempo vola quando si chiacchiera con uno sconosciuto e si cerca di sopravvivere alle molestie di un cane. Dopo mezz’ora circa arriviamo alla stazione di servizio. Un chiosco desolato con un ombrellone dei gelati nel cortile. Non facciamo domande, ringraziamo, salutiamo il cane e fumiamo una sigaretta nell’attendere il prossimo passaggio.

Credo siamo nei pressi di Ivančna Gorica. Quando si entra nell’ottica dell’autostop, tutti i passaggi stradali sono accumunati da una similarità. E si prende coscienza di dover aspettare pazientemente un benefattore. Mentre attendiamo, in lontananza sulle montagne si notano abitazioni sporadiche, per lo più isolate, immense nel verde delle colline slovene. L’inverno da queste parti è abbastanza rigido, ricordo lo stesso scenario di qualche mese prima, in visita in Slovenia le stesse case erano ricoperte e sommerse dalla neve. Fortunatamente non abbiamo nemmeno il tempo di andare in bagno che conosciamo una simpatica coppia di vecchietti. Lei di origini croate, lui italiano, erano diretti in Croazia, in un paesino a 100km a sud di Zagabria. La buona notizia è che ci avrebbero
portato fino alle porte della capitale. La signora è abbastanza scettica nel darci un passaggio, trova mille scuse per evirare le nostre richieste. Esibiamo i documenti come al controllo doganale e partiamo. Nulla di interessante, la coppia prossima alla pensione scambia qualche parola in croato e io cerco di addormentarmi incastrato nel sedile posteriore dell’alfa romeo tra gli zaini e alcuni scatoloni pieni di pasta e cianfrusaglie italiane. Met ha ripreso colore ed energie dopo svariati caffè e cerca di fare conversazione prima con me, poi con i coniugi italo-croati, ma nessuno gli da corda.
Buonanotte.

Circa 100km ci dividono da Zagabria, un’eternità passata in auto a sentire mormorii tra i due vecchietti. Met finalmente si è addormentato. Dopo quasi due ore di scomodo riposo arriviamo sull’ennesima stazione di servizio. Un parcheggio/hotel che aveva il suo gemello, speculare dall’altro lato della carreggiata. In città ci aspetta Vesna, una perfetta sconosciuta. Solo poche informazioni ho su di lei, vive in un appartamento nella prima periferia della capitale croata, con un coniglio. Avevo trovato ospitalità da lei tramite il sito “Couchsurfing”. Prima di partire mando
richiese su richieste nelle varie città dove avremmo dovuto far tappa: Ljubljana, Zagabria, Belgrado, Sofia, Salonicco, Gomenizza.

Non è stato facile raggiungere il centro della città dalla piazzola di sosta. A quanto pare nessuno si fermava a far benzina a 5km da casa. Fortunatamente un ragazzo si ferma a comprare una coca cola. Solo 10 minuti rimaniamo in auto con il grasso rappresentante di articoli alberghieri per poi scendere a pochi passi dalla stazione centrale di Zagabria. Chiedo gentilmente ad un passante di poter fare una telefonata a Vesna (il mio cellulare non funziona all”Estero). Zagabria non è molto diversa da Lubiana, il macigno comunista che ha ombreggiato per anni sulla Nazione sembra non abbandonare l’anima della città. I soliti casermoni tutti uguali, il grigio cemento della periferia rievocano e riaprono una ferita non del tutto chiusa di un passato abbastanza travagliato. Un passato non molto lontano. Il centro è ri-modernizzato, Zagreb ha assunto le sembianze della classica capitale europea. Poggiati sul fianco del monte Medvednica vivono poco meno di un milione di persone in una costante e perpetua antipatia verso i cugini serbi.

Un caratteristico tram colore blu elettrico ci accompagna all’abitazione della nostra amica momentanea. Al penultimo piano del palazzo vive Vesna, una simpatica ragazza sulla trentina. Vive sola nel suo monolocale, in compagnia di un piccolo coniglio. Lavora per una compagnia di assicurazioni croata e prende il giorno libero per farci da “cicerone” nella sua città. E’ originaria di Bjelovar, una cittadina a pochi passi dal confine ungherese, ci racconta che viene a vivere nella capitale per sfuggire dalla noia della provincia e per cercar fortuna nel mondo delle assicurazioni.
Dopo un paio di birre confessa che il vero motivo del suo trasferimento è stato seguire il suo amore del liceo. Una ragazza estremamente timida, ma di gran cuore. Dopo una doccia calda prepara delle specialità culinarie croate.

Assaggiare le varie pietanze dei Balcani è stato uno dei motivi che ha spinto me e il mio amico Met a metterci in viaggio. Passiamo un paio d’ore a parlare seduti su quei divani rosso fuoco, appartamento arredato nel tipico stile “ikea”, racconto la mia storia, da dove vengo e perché sono in viaggio. Perché siamo in viaggio? Ovviamente non solo per assaggiare le specialità di mezza Europa, ma soprattutto per far visita alla fidanzata di Met. Lui mi ha convinto a partire, senza armi ne bagagli, con 25 euro in tasca, lungo una strada di 4000km per visitare Dilek, amica ed ex coinquilina a Bologna.

Trascorriamo poche ore in giro per la città, oramai il sole stava per tramontare e noi la mattina seguente dobbiamo svegliarci più presto del previsto per raggiungere la lontana Belgrado. In queste poche ore Vesna ci mostra gran parte della metropoli, più stanchi che mai percorriamo Zagabria in lungo e in largo. Di particolare interesse notiamo un mercato ortofrutticolo nel pieno centro e la cattedrale cattolica nascosta tra i tetti spioventi della città.
Le ultime chiacchiere in quel salone sempre più familiare, gli ultimi dettagli di una storia che non avrebbe mai visto la luce fuori dalle quattro mura domestiche, che di nuovo mi ritrovo a spiegare il sacco a pelo su un divano, questa volta a un passo dalla gabbia di un coniglio. Buonanotte.

2. continua

leggi la prima tappa

Michele Rinaldi

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