Siria, gli anziani rimangono
Recita un vecchio detto: “Prima le donne, i vecchi e i bambini”. In caso di guerra o di incendio, di evacuazione o di naufragio, queste persone dovrebbero essere le prime a essere messe in salvo. Nell’ambito della crisi siriana, questo principio è assolutamente valido per i bambini: una buona metà delle persone rifugiate sono minori di diciotto anni*. Lo stesso principio tiene ancora per la popolazione femminile: il numero di donne adulte tra i rifugiati è superiore al numero di uomini adulti.**
Al contrario di questa logica, invece, molte persone anziane tendono a rimanere in Siria nonostante la guerra. Questo fatto sorprendente è confermato sia dalle statistiche disponibili***, sia dalle testimonianze di diverse famiglie di rifugiati. Gli anziani, soprattutto quando sia la moglie sia il marito sono ancora vivi, non si rassegnano ad abbandonare la casa e il paese in cui hanno vissuto per così tanti anni. Essendo meno attivi dal punto di vista politico, le forze di sicurezza tendono a prenderli meno di mira. Inoltre gli anziani sono responsabili solo per sé stessi, perché i loro figli sono già grandi e indipendenti; mentre la generazione più giovane, con bambini piccoli, si sente spinta a lasciare il paese per metterli al sicuro e assicurarne il futuro altrove.
Ad esempio Munira, un’insegnante di 29 anni rifugiata in Giordania, descrive così la scelta di sua madre:
“La mia famiglia è sempre in città, a Idlib. Qualsiasi cosa succeda, non lascerà la nostra casa. Mia madre non pensa a partire, lei dice: «Se Dio ha scritto che devo morire, morirò ovunque io sia, perciò non abbandono la mia casa…». Persino quando ci sono stati i problemi a Idlib [bombardamenti e scontri], molte persone hanno abbandonato la loro casa e sono partite, ma lei è rimasta; persino ai rifugi, lei non ci andava…”
Ahmed, 41 anni, impiegato statale, racconta una storia simile. È scappato mesi fa con la moglie e le due figlie dalle campagne di Damasco fino alla cittadina di Ramtha, nel nord della Giordania. I suoi genitori a un certo punto l’hanno seguito, ma poi hanno cambiato idea:
“Sono venuti in visita, ma poi sono tornati in Siria. Sono tornati a causa delle condizioni, della situazione economica, e dell’alto costo della vita… più alto di quanto ti immagini. Hanno detto: «Torniamo e restiamo a casa nostra, lasciamoci bombardare e moriamo a casa nostra, è più dignitoso che restare qui». Sono rimasti qui circa un mese…”
In seguito il fratello di Ahmed è stato imprigionato dalle forze di sicurezza. Questo evento drammatico ha spinto ancora di più i suoi genitori a restare in Siria per cercare notizie sul luogo di detenzione e le condizioni del loro figlio. Per una ragione molto simile il padre di Rabih, un commerciante siriano di 45 anni, non l’ha seguito in Libano: l’altro suo figlio è stato rapito alla periferia di Damasco da un gruppo armato e se ne sono perse le tracce. Rabih racconta:
“Mio padre ha fatto un giuramento: non lascerà la Siria… non partirà dalla Siria in direzione del Libano, prima che mio fratello sia liberato o che si sappia cosa gli è successo. Mio padre è lì, da solo.”
Insomma la generazione dei nonni, cresciuta in un’epoca complessa tra l’instabilità politica degli anni ’50 e ’60 e le guerre contro Israele del 1967 e del 1973, dà spesso prova di grande determinazione e di un forte attaccamento al proprio paese e ai famigliari. Qualcuno di loro, ancora nella mezza età, prende persino parte attiva nella crisi in corso.
Ad esempio la suocera di Omar, un palestinese siriano di 36 anni. Lui si è rifugiato in Giordania in cerca di assistenza medica per la moglie e le figlie ferite in un bombardamento. Molti uomini della sua famiglia sono rimasti in Siria a combattere nei ranghi dell’opposizione. Ci è rimasta anche la suocera, e si dà da fare in diversi modi:
“La madre di mia moglie… se c’è una persona ferita, e i rivoluzionari non la possono recuperare, ci va lei a prenderla. Aiuta i rivoluzionari. E cucina per loro. E si prende cura dei feriti leggeri… se c’è un’incursione dell’esercito, scappa attraverso i campi…”
*Secondo le statistiche dell’UNHCR per il Libano, 52,7% dei rifugiati registrati hanno tra 0 e 17 anni.
**Secondo le stesse statistiche, ci sono 86.103 donne e 75.161 uomini tra 18 e 59 anni tra i rifugiati registrati in Libano.
***Secondo le stesse statistiche, solo 2,6% dei rifugiati registrati ha 60 anni o più. Per confronto, secondo i dati demografici per la Siria aggiornati al 2012, circa 5,5% della popolazione siriana ha 60 anni o più.
(testimonianze raccolte da F.D. tra dicembre 2012 e gennaio 2013, in Libano e in Giordania. Articolo pubblicato su Focus on Syria)
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