S'impara in Australia: il kiwi neozelandese

Ormai gli australiani non hanno più segreti per me. O in caso, ne posseggono ancora pochi che so di essere sul punto di scoprire. Ho imparato cos’è un “barbi”, abbreviazione del Santissimo BBQ domenicale, cosa sono le subdole “mozzies” (nella fattispecie: le zanzare) che non ti lasciano dormire durante queste notti tropicali, che il caffè, o meglio i suoi derivati dai nomi creativi, è il supporto base per qualsiasi giornata, che ci siano 15 o 42 gradi fa lo stesso, e che camminare scalzi è l’essenza del vivere secondo le regole di Down Under, in caso contrario, sono accettate le ciabatte infradito, pure in ufficio.

Devo ricordarmi però che in Australia e specialmente a Sydney non ci vivono solo gli australiani. No, non sto parlando degli aborigeni, è un tema troppo delicato e mi sento ancora enormemente ignorante a riguardo per trattarlo. Parlo della miriade di immigrati, e “working holiday visa” (come me) che popolano questa città così cosmopolita. Quelli più subdoli da identificare, sono probabilmente quelle persone la cui lingua madre è l’inglese, ma che ovviamente non sono automaticamente australiani. In fin dei conti, quanti paesi al mondo esistono la cui lingua nazionale è l’inglese? Troppi. Nonostante riesca a destreggiarmi abbastanza bene nel riconoscere un British accent da un American accent, per non parlare poi dell’australiano che a volte suona come una lingua totalmente diversa, ho avuto alcune perplessità in più di un’occasione.

I miei dubbi sono cominciati quando un ragazzo, durante un incontro di tutti i commessi del negozio per il quale lavoravo, si è presentato dicendo di essere “un kiwi”. La reazione di tutti i presenti è stata che non c’è stata nessuna reazione, come se il ragazzo in questione avesse detto “ e pratico il surf come sport” solo sorrisi, giusto per educazione. La mia reazione è stata un corrugamento di tutta la faccia, un’aria dubbiosa in volto e la consapevolezza assoluta di aver capito male. Ma ammetto di non aver indagato oltre. Nonostante nei giorni successivi mi fosse tornato in mente l’episodio in questione, portandomi via ore di ragionamenti, non sono mai riuscita a trovare una risposta concreta ed ho sempre lasciato perdere ripetendomi, che di sicuro avevo capito male.

Un mese dopo però quando il mio collega di lavoro doveva scrivere il mio nome sull’orario della settimana successiva, cosa che provoca non pochi dubbi e dislessia istantanea nella popolazione anglofona (ormai ritengo il mio nome come uno dei più complicati agglomerati di lettere al mondo), gli dissi di non preoccuparsi, di chiamarmi “ila”, dato che sapevo che pronunciare “Ilaria” era troppo complicato per gli australiani. Sam, il mio collega, mi aveva guardato con aria di sfida e dopo aver miracolosamente pronunciato il mio nome scandendo tutte le vocali nel modo giusto e con la giusta cadenza (all’italiana), aveva aggiunto le seguenti parole “Io non sono australiano, sono un kiwi”. Ecco in quel momento tutto il tempo passato a ragionare su quella frase mi era ricaduto addosso e non ho potuto fare a meno di rispondergli “va bene e io sono una mela, e quindi?!”.

Povero Sam, non l’ho lasciato andare a casa finché non mi ha spiegato la faccenda per filo e per segno. Con aria un po’ perplessa e un po’ divertita, mi ha spiegato di essere Neozelandese che però in inglese non si dice “Newzealander”, ma “Kiwi”. Dopo aver cercato in tutti i modi di non ridergli in faccia e avergli chiesto perché, lui mi ha risposto con disinvoltura, “perché è il nostro emblema, è l’animale simbolo dello Stato, c’è anche sullo stemma della nazione, hai presente? Perché scusa in Italia che emblema avete?” Bella domanda. Che emblema abbiamo noi? Quale animale particolare possiamo sfoggiare sullo stemma dello Stato? Che poi qual è lo stemma del nostro Stato? Ce l’abbiamo uno stemma? Con che coraggio possiamo giudicare una nazione che è così graziosa da chiamarsi con il nome del loro animale emblema, quando da noi a mala pena ci ricordiamo se viene prima il verde o il rosso sulla nostra bandiera? “La pizza?” è stata l’unica risposta che sono riuscita a trovare sul momento. Però se ci chiamassimo “pizzaioli” fra di noi, farebbe di sicuro più ridere dei kiwi.

Ilaria Casini

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