Silvia e l'amore per lo Sve
Un benvenuto a bordo per Silvia Crema. Per il suo esordio ad And ci racconta le impressioni del suo Servizio Volontario Europeo a Londra.
Matilde è la mia nipotina. Quand’è nata io non c’ero. “Un giorno le racconterai”, mi disse mia mamma. All’epoca mi sembrava così lontano quel giorno e non sapevo se sarei mai riuscita a trovare un modo autentico per raccontare, ma soprattutto per raccontarmi.
Sono trascorsi tre anni. E io mi sento ancora un po’ come un buffo alieno che ha scoperto un altro pianeta. Quel pianeta mi ha affascinata, trasformata, fortificata. Ora non ho più paura di lottare per le cose in cui credo. Amo interrogarmi sul senso della vita, in cerca della mia anima. E pur di trovarla sono disposta a sconvolgere e risconvolgere il mio equilibrio interiore. Se serve so essere ribelle, audace e anche sfacciata. Ma ho imparato ad essere sempre me stessa, sincera e vera, perché so che solo così la vita può sorprendermi.
La guardo. Mi sorride. Ha lo sguardo di chi vuole ascoltare e io vorrei essere capace di parlare direttamente al suo cuore. Matilde ama le favole e io penso che nella mia favola c’è dentro tutto: coraggio, sofferenza, poesia. Penso che quando tu sarai grande, Matilde, il mio cuore avrà già rallentato e ti guarderò distante. Ti guarderò sorridere senza un motivo, convinta di poterti mettere il mondo in tasca perché è piccolo in confronto a ciò che hai dentro. E io avrò già dimenticato cosa significa essere felici senza un motivo. Faccio un sospiro ed inizio.
C’era una volta Silvia, Anna, Domenico, Eugenio, Paola, Giada, Guido, Anny, Stefania, Angela, Giovanna. C’era una volta l’Inghilterra, la Polonia, la Francia, il Portogallo, la Lituania, la Spagna, la Turchia, la Russia. C’era una volta lo YMCA, la comunità per i senza tetto, il centro culturale, la casa di accoglienza, la scuola per i disabili, l’ospedale psichiatrico, la comunità per i tossicodipendenti. C’era una volta lo SVE: un grande programma europeo che raccoglie tante piccole favole.
“Zia, hai detto c’era una volta quattro volte. Ma quante storie sono?” immagino ti chiederai. Perdonami tesoro, non so come iniziare e probabilmente non saprò nemmeno come finire. Perché lo SVE non ha un inizio e una fine. Lo SVE è una parentesi della vita che rende incomprensibile tutto ciò che si è fatto prima e comprensibile tutto ciò che si vuole fare dopo. Ci sono tante storie dietro questa parola magica. La mia favola è dedicata a tutte le persone di queste storie, cara Matilde. A chi ha voglia di cambiare. A chi guarda quelli che cambiano. A chi cambia su serio. A chi cambia per gioco. E a chi sta ancora cercando di cambiare. Ho rinchiuso i ricordi nella carta, nei margini di un foglio, quando erano ancora vivi, lucidi d’inchiostro. Forse all’inizio questa favola non ti piacerà. Forse ti sembrerà assurda e patetica: come si possono vivere così tante emozioni in così poco tempo? Lo scoprirai Matilde. E capirai che ogni volta che taglierai un tuo piccolo traguardo avrai vinto contro tutti, anche contro il tempo che scorre veloce, e sarai fiera di te stessa. Io oggi lo sono, grazie allo SVE. Perché a volte dedicarsi a qualcuno vuol proprio dire dedicarsi ad un obiettivo. L’obiettivo di portare un sorriso o un gesto a chi ne è privo, di regalare, fosse anche solo per un minuto, un po’ di gioia a chi ne ha bisogno. L’obiettivo di capirsi prima ancora di essere capiti.
SVE letteralmente significa “Servizio Volontario Europeo”. Per me significa “Saprò Vivere Eternamente”. Perché lo SVE sa vivere per sempre nel cuore di tutti coloro che lo hanno fatto. Infatti, ora che è concluso, so che lo SVE è dentro tutte le cose che faccio quotidianamente, nei volti delle persone che incontro, nella mia voglia di essere utile, nel mio piccolo desiderio di migliorare il mondo. Se lo cerchi su internet, google ti dirà che è un programma nato per accogliere giovani da tutta Europa ed inserirli in progetti ed attività di servizio per tutta la comunità durante un periodo che varia dai sei ai dodici mesi. Sei tu a decidere se quel progetto è quello che fa per te: se è così ti candidi e se sei ritenuto idoneo, la tua piccola grande favola ha inizio. Anche se, secondo me, il vero inizio si nasconde tra i motivi che spingono ad inviare la propria domanda, a tenere le dita incrociate finché il telefono non squilla o quella mail non arriva, ad attendere con ansia il giorno della partenza, ad alternare lacrime e sorrisi, a far trascorrere rapidissimi quei mesi fino a desiderare di poter rifare un altro SVE, o meglio, a desiderare che lo SVE duri tutta la vita.
Fu Sara a parlarmi per la prima volta dello SVE. Lei all’epoca lavorava presso un ente che si occupava dell’invio dei volontari, lo stesso che poi divenne la mia organizzazione d’invio. A differenza di ciò che faccio solitamente per qualsiasi decisione, quella volta non mi fermai a riflettere. “Lo SVE non è un lavoro, non è modo per impegnare un anno di tempo o per andarsene all’estero. E’ un momento di crescita, un modo per prendere consapevolezza di sé, degli altri e dell’Europa” mi disse Sara. Inviai candidature per sei mesi. Poi, proprio mentre stavo per perdere le speranze, la chiamata arrivò. Destinazione: uno YMCA inglese. Ho lavorato per dieci mesi in quell’associazione che, oltre a dare ospitalità a giovani disagiati, offre una serie di attività ricreative per bambini, anziani e disabili. Ho conosciuto tanti altri ragazzi, anche loro volontari come me. Eugenio, per esempio. Eravamo entrambi a Londra, ma con due progetti diversi, lo YMCA io, l’istituto per disabili lui. Abbiamo condiviso tante cose: dal freddo e la pioggia inglese, alle gite durante il tempo libero, alle lacrime di nostalgia per l’Italia. “Mi manca il periodo spensierato dello Sve” mi scrive Eugenio “Ora è tutto così difficile”. Nel mio cuore e nella mia mente ci sono anche le persone che lavoravano con me nello YMCA, i bambini e i ragazzi che vivevano lì, come Isabel che ora ha finalmente trovato un lavoro. Mi scrive che le manca il mio tiramisù e il mio corso di italiano. E aggiunge “I miss you, come back”.
Spesso mi chiedono se sono pentita di aver rinunciato a tante cose per quest’esperienza, di aver rinunciato anche un po’a te che hai deciso di nascere proprio quando io stavo vivendo tutto ciò. Ma io, in fondo, credo non potrei essere la persona che sono ora senza quelle rinunce. Fai quello che senti nel cuore, sempre e comunque. Non rinunciare mai a provare a fare quello che vuoi veramente fare. Dove c’è amore ed ispirazione non credo che si possa sbagliare. Non cercare a tutti costi quella che definiscono “una vita felice”. Meglio una vita serena, una vita buona, piena di sogni, di progetti, di azioni. La felicità, come diceva Trilussa, in fondo è una piccola cosa. Ed io, ho realizzato un mio progetto ed un mio sogno. E sono felice.
Silvia Crema