Sesso e transessuali in Thailandia
Passare il confine tra il Laos e la Thailandia mi ha dato la stessa sensazione di guardare dalla sponda libanese la blue line, la linea di confine che separa la Terra dei cedri da Israele. Quel panorama brullo intervallato da bananeti e tabacco lascia spazio, subito oltrepassata la linea di confine, a un paradiso verde, un altro mondo, confinante eppure distante, sembrava a colpo d’occhio, anni luce. E così, passare da Pakse, nel sud del Laos, a Ubon, nel Nord Est della Thailandia, ci ha dato l’impressione di cambiare mondo. Tutto appariva diverso. I campi di riso coltivati anche fuori della stagione delle piogge e irrigati con sistemi elettrici, i bus molto più moderni, le città piene di luci e supermercati aperti quasi 24 ore al giorno.
Un elemento di continuità tra il Laos di confine e la Thailandia (tutta) però l’abbiamo trovato in una totale “libertà di costumi sessuali”. Per capirlo si deve smantellare il nostro background cattolico fino a ridurlo in polvere, perché bisogna partire da un paio di presupposti che sono agli antipodi della nostra cultura. Primo: il sesso non è un tabù. Il corpo può essere uno strumento di lavoro, nessuno additerà mai una prostituta o un prostituto per il lavoro che svolge. Nessuno additerà mai per questo neanche il figlio di una prostituta o il fidanzato di una prostituta. Nessuno additerà una donna che si accompagna a un uomo dietro pagamento. Questa considerazione esula ovviamente dal problema enorme dello sfruttamento della prostituzione minorile che esiste ancora in alcune zone del Paese.
Secondo: il buddismo non ha nessun tipo di pregiudizio nei confronti dei transessuali. Il Wat Phumin di Nan è uno dei templi artisticamente più importanti del Paese e deve la sua fama ai dipinti che ne affrescano l’interno. Visitandolo si riesce ad avere un assaggio della quotidianità dell’Ottocento tailandese. Tra re, regine, principesse, ancelle, mercati e mercanti, minoranze etniche e monaci, gli affreschi descrivono chiaramente le abitudini sessuali dell’epoca. Ci sono coppie eterosessuali, coppie omosessuali, prostitute e transessuali. I transessuali sembrano ancora oggi bene integrati nella società, almeno a giudicare dal fatto che svolgono i lavori più normali. Non sono costretti alla prostituzione o a intraprendere lavori in proprio, come spesso avviene altrove, perché altrimenti nessuno li assumerebbe mai: qui lavorano tranquillamente a contatto con il pubblico, dall’hostess della compagnia di autobus di lusso alla presentatrice televisiva.
“Quando vedete una ragazza troppo bella, la maggior parte delle volte è un uomo”, ci ha detto un marinaio americano, seduto con noi in un ristorante italiano nel Laos di confine, mentre guardavamo passare la fidanzata del nostro chef. Altezza 1.80 m, taglia 38, capelli lunghissimi, lineamenti dolci e voce, effettivamente, un po’ meno dolce. È stato lui a parlarci della distinzione che il buddismo opera tra “l’uomo, la donna e l’uomo con il cuore di donna” “E la donna con il cuore di uomo?” Mi è venuto spontaneo chiedere, “Non credo sia contemplata verbalmente, ma viene considerata parte di questa distinzione”.
Apprezzando tanta tolleranza giravamo per Khorat, una delle più grandi città dell’Isan (la regione dell’Est tailandese), fino a capitare nell’ora di pranzo in un ristorantino gestito da una dolce anziana signora con un discreto inglese. Mentre ci interrogavamo, appunto, se la figlia fosse un figlio, lei ci raccontava di essere una docente universitaria in pensione, di aver insegnato archeologia e di essere un’amante dell’arte. “Vedete, quel quadro sulla destra l’ha dipinto mio figlio, è in stile tailandese, quel disegno a matita raffigura un docente italiano, quei quadretti infondo sono di alcune mie ex allieve”.
Un momento. Un italiano? Quale italiano, chi, come, quando, perché?
“Come chi? Silpa Pirasi! Un maestro dell’arte, il fondatore della Silpakorn University, unico rettore straniero nella storia della Tailandia, qui lo conoscono tutti”. “Scusi ma è sicura, perché Silpa Pirasi non è proprio un nome italiano…” “Quello è il nome tailandese, il nome in italiano non lo ricordo, comunque ha importato l’arte occidentale nella prima metà del ‘900”. “E come ci è arrivato in Tailandia, agli inizi del ‘900?” “E’ stato invitato dal re Rhama V in persona!”. Mah. La storia ci sembrava un po’ bizzarra, tanto più che neanche interrogando Google il nome forniva alcun risultato.
È stato soltanto qualche settimana dopo, grazie ai nostri ospiti couchsurfers a Chiang Rai, che la matassa si è dipanata. La nostra coppia di amici, omosessuale e mista tailandese-canadese, ci ha regalato la gioia di vedere la prima coppia mista che non fosse composta da un uomo-ultra-sessantenne-occidentale e una ragazza-appena-maggiorenne(si spera)-tailandese. In più, il ragazzo tailandese ci ha confermato che sì, c’è stato un famosissimo docente di arte italiano, ma il vero nome non lo ricordava, forse Ferruccio, ma non era sicuro. “Silpa Pirasi, qui lo chiamano tutti così”. È bastata una ricerca in caratteri tailandesi per capire che lo spelling esatto in caratteri latini è Bhirasri.
Corrado Feroci di nascita, Silpa (che in tailandese significa Arte), chiese di essere ammesso a lavorare in Siam dopo una, a quanto pare, non troppo brillante carriera artistica in Italia. Qui fondò la prima accademia di belle arti ed ebbe un successo tale da essere considerato padre dell’arte moderna e contemporanea tailandese. Feroci però non fu una mosca bianca. Erano tempi in cui la Tailandia (unico Paese del Sud Est asiatico a essersi salvato dal colonialismo europeo) stava tentando di conservare la sua autonomia e di ammodernarsi in tutti i campi e i risultati si vedono ancora oggi. Accadde che il re Rhama V, in visita a Torino, si innamorò della città. Bastò questo per procurare una piccola, pioneristica, fuga di cervelli verso i mari tropicali: è così che la grande Bangkok, quella che vedremo fra qualche giorno, fu plasmata dalle menti e dalle mani di decine di ingegneri, architetti e artisti italiani che in patria erano poco valorizzati e decisero di emigrare su nuovi lidi in cerca fortuna.
Vi ricorda qualcosa?
Maria Elena Ribezzo e Marcello Passaro