Terremoto un anno dopo: le persone. Storia di Sonia
Un anno fa, il 29 maggio 2012, alle 9 una scossa di terremoto, con epicentro è situato nella zona compresa fra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro, fece tremare l’Emilia portando morte e distruzione. Ora un anno dopo, AND vi propone questo fotoreportage di Massimo Pistore suddiviso in 3 parti: le persone, le imprese, la ricostruzione. Per non dimenticare
“E appena ti sposti di 20 km non gliene frega niente del terremoto, non è successo nulla” dice Mario Berlingeri, Novi di Modena. Un ritornello nei paesi del cratere del terremoto emiliano: a Rovereto, a Mirandola, a Cavezzo. Appena qualche chilometro dai luoghi più colpiti e la gente ha dimenticato tutto, le persone convinte che tutto sia a posto, ognuno con un tetto sopra la testa e gli stenti dell’economia figli solo della crisi. Eppure ad un anno dalle scosse del 20 e 29 maggio 2012 per molte persone il terremoto continua, con i problemi per la ricostruzione, i contributi che ancora non arrivano, la vista del paese decimato dalle demolizioni delle case danneggiate, i posti di lavoro persi nelle aziende colpite che devono licenziare e chiudere. Che la situazione non sia per nulla a posto lo testimonia anche il decreto per la proroga a fine 2014 dello stato di emergenza, una misura degli ultimi giorni indispensabile per non far sprofondare la zona colpita dal terremoto nella confusione totale.
Oggi quasi tutte le persone coinvolte dal sisma ricevono una forma di assistenza per il sostentamento. Hanno potuto – ma anche dovuto – scegliere se essere sistemate nelle strutture messe a disposizione (prima le tende nei campi di accoglienza e gli alberghi, poi i moduli abitativi provvisori Map, fino alla sistemazione o comunque alla dichiarazione di agibilità della propria abitazione) o ricevere il Cas. Si tratta del contributo per l’autonoma sistemazione, massimo 200 euro a persona per chi, impossibilitato a stare nella propria casa perché inagibile, abbia deciso di provvedere autonomamente a una sistemazione. Ma, al di là dell’efficienza delle misure per rispondere ai bisogni quotidiani della popolazione (c’è coscienza delle difficoltà di gestire un evento catastrofico che ha colpito una zona così ampia divisa tra quattro regioni) a generare rabbia è soprattutto il fatto di non ricevere risposte chiare alle domande, come avviene nel caso delle regole sulla ricostruzione che cambiano di mese in mese. Una burocrazia sovrana soverchia ogni promessa di semplicità e rapidità di intervento.
A Rovereto sul Secchia vive Sonia Marchetti, costretta dalla disabilità su una sedia a rotelle. La storia di Sonia e di suo marito Marco inizia dopo le scosse del 20 maggio quando diventa impensabile restare in casa viste le difficoltà motorie di Sonia. La coppia dorme su un materassino dentro il furgoncino di Marco fino alle scosse del 29, quando la strada dove abitavano viene dichiarata ‘zona rossa’ e diventa impossibile accedervi.
Alla richiesta di una sistemazione adatta alle necessità di Sonia, la soluzione che si prospetta tramite i servizi sociali è quella di un albergo: in Liguria o in Toscana! Ma Sonia lavora a Medolla per la Gambro, un’azienda del settore medicale che viene anch’essa colpita dal sisma. Accettare la sistemazione significherebbe rinunciare al lavoro: “Perché devo farlo se sono in grado di lavorare?!” si chiede Sonia, e resta a Rovereto. La tendopoli della Protezione Civile si rivela però incompatibile con le condizioni di un disabile: manca la più elementare delle cose, cioè la rampa che permette l’accesso ai bagni. La scelta allora sembra obbligata e la coppia acquista un piccolo container adibendolo ad abitazione temporanea, una spesa per cui non è previsto alcun contributo.
“Mi sono sentita abbandonata” dice Sonia mentre racconta come la beffa più grande dovesse ancora arrivare: con la scelta della sistemazione autonoma Sonia e Marco hanno potuto accedere al Cas ma qualche settimana fa arriva la richiesta della restituzione di parte dei contributi. Per un miracolo della burocrazia si scopre che la strada dove abitavano è agibile fin dal 2 agosto. Ma le comunicazioni ufficiali raccontano un’altra storia e solo il 21 dicembre arriva la notizia che avrebbero potuto tornare ad abitare nella loro casa ben quattro mesi prima. Patrizia è di Concordia (a pochi chilometri da Rovereto).
Suo marito si è tolto la vita due anni fa e lei vive con la reversibilità della sua pensione. Non ha un lavoro, e neppure i suoi due figli riescono a trovarlo ora. Quando a causa del terremoto si perde sia la casa che il lavoro, la scelta tra contributo economico o sistemazione abitativa lascia comunque senza prospettive. Perché continuare a pagare un mutuo per una casa inagibile – che è stata demolita e non si sa quando verrà ricostruita – senza avere un lavoro è davvero impossibile. E scegliere la sistemazione, per avere un
tetto sotto il quale dormire, significa però non ricevere alcun aiuto per fronteggiare tutte le altre spese. “A darmi la forza di andare avanti è il pensiero dei miei figli e l’aiuto di persone straordinarie che senza nulla in cambio mi sono state vicine”. Un riferimento ai volontari di gruppi come TeniaMO Botta, un’associazione non profit che provvede alla distribuzione alimentare per chi altrimenti non ce la farebbe; o come il Comitato Sisma.12, un gruppo di persone che informa la popolazione sui diritti e porta avanti le richieste dei cittadini, alla ricerca di un filo diretto con il commissario Errani. Il sostegno dei volontari arriva anche agli anziani, come quelli che si incontrano al banco della distribuzione alimentare. Hanno il volto di Graziella ed Enzo Guagliumi, fratello e sorella di San Martino Secchia, che il terremoto ha portato a condividere una roulotte, non potendo rientrare nella casa inagibile. O di Franca Pivetti, la loro vicina, che fa la spola tra la sua casa (anch’essa inagibile) e quella di un’amica che la ospita. O di Luisa Bertesi, a Rovereto.
Anche lei vive in roulotte con il marito ma rientrano in casa a proprio rischio durante il giorno perché, dice, mostrando un cestino pieno di medicine “Non posso mica stare tutto il tempo nella roulotte, con la mia salute”. E continua denunciando la mancanza di sicurezza dopo la prima emergenza: ”Il paese è stato lasciato senza protezione perché non ci sono forze dell’ordine a controllarlo”. La conferma di un racconto già sentito da altri abitanti: nei primi periodi dopo il terremoto erano i ragazzini che passavano le serate in giro per le strade di Rovereto a ‘pattugliarle’ per evitare le razzie.
Chi abita ancora tra i muri di una casa inagibile è invece Rosi Bala, indiana, in Italia con il marito, disoccupato da un anno, assieme ai due figli Isha e Trish che frequentano le scuole del paese. La famiglia è stata inizialmente sistemata in albergo, ma Sajib, il marito, è rimasto a Sant’Antonio in Mercadello per non abbandonare la casa. Poco dopo è stato raggiunto nuovamente dalla moglie e dai figli, perché non si sentivano sicuri a restare da soli. Hanno passato l’estate nella baracca in lamiera a fianco della casa e l’inverno dormendo in un container arredato a pochi metri di distanza. Con un dilemma: o il freddo o le bollette salatissime dell’elettricità necessaria a riscaldarsi. Un dubbio, quello di trovarsi davanti a bollette troppo care, che ha raggiunto anche Maurizio, che tutti a Rovereto chiamano ‘Delle’. Per alcuni mesi, dopo l’assegnazione del modulo abitativo nel villaggetto dei Map (arrivata a febbraio), Delle ha preferito alternare la propria permanenza nel modulo con quella nella roulotte, più economica da riscaldare. Senza la sicurezza di un lavoro, anche avere un posto dove stare può generare la paura di non poterselo permettere. (Parte una di tre: continua alla seconda parte)
Massimo Pistore (con la collaborazione di Carlo Calore)
“Massimo Pistore nasce a Bolzano nel 1974. Scopre l’amore per la fotografia durante gli anni degli studi universitari. Una volta laureato decide di fare per lavoro quella che era la sua passione: raccontare il mondo per immagini. Dopo aver collaborato per anni con il Mattino di Padova oggi è fotografo freelance, collabora con l’Università di Padova e i suoi servizi sono stati pubblicati anche su quotidiani nazionali come La Stampa e il Corriere della Sera e periodici come Diva e Donna, Famiglia Cristiana, Il Messaggero di Sant’Antonio.”
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