Perché non combatto per riavere i marò in Italia
Vi spiego perché non rivoglio i due marò trattenuti in India, non mi batto per il loro ritorno. Si potrà obiettare che il mio ragionamento manchi di basi giuridiche: quelle dei fatti passati sono ricostruite. E una base giuridica certa su quanto successo in India pare proprio non esserci. In ogni caso, volendo dirla tutta, si fa un gran richiedere questi “eroi” da parte di persone che, si può dirlo tranquillamente, non sono esperti di diritto. Comunque questa è un’opinione, se volete un rinfrescare di memoria.
Era il 3 febbraio del 1998: un aereo dei marines statunitensi, decollato da Aviano, vola troppo basso e troppo veloce (così si è detto in tribunale) trancia i cavi della funivia del Cermis, in val di Fiemme. Diciannove persone perdono la vita: l’aereo rientra alla base e viene sequestrato dai giudici italiani mentre, nella base Usa, si cercava di sistemarlo. Ricordo bene che non capivo per quale motivo – la convenzione di Londra del 1951, se volete saperlo – i quattro membri dell’equipaggio furono giudicati in un tribunale americano. Dicevamo: volavano bassi, e troppo veloci: questo stabilì la corte americana. Furono assolti (i soli due) finiti davanti ai giudici. Uno di loro fu condannato, e trascorse quattro mesi e mezzo in prigione, solo per aver “ostacolato il corso delle indagini”. Procurare la morte di 19 persone andava bene, ma cercare di pulire l’aereo e far finta di niente meritava uno scappellotto. L’indignazione dell’opinione pubblica su questa assoluzione, e sul fatto che i militari fossero stati giudicati a casa loro, fu grande.
Molto più complesso il caso di Nicola Calipari, agente segreto italiano ammazzato a Baghdad nel 2005, mentre ritornava con Giuliana Sgrena, giornalista del Manifesto appena liberata da un rapimento. Ammazzato per un “misundestranding” da un militare americano, giudicato in America e ritenuto non colpevole. Un caso diverso, ma che si può tenere comunque a mente: l’indignazione, come per il Cermis, fu tanta.
Per questi motivi, per questi ricordi, non capisco perché Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò detenuti in India con l’accusa di aver ammazzato due pescatori locali al largo delle acque indiane, dovrebbero tornare a casa. Se lo stabilirà il diritto internazionale, si faccia. Ma la situazione è ingarbugliata, e l’Italia non è riuscita a dimostrare le sue (eventuali) ragioni. Quindi, al momento, ritengo giusto che se li tenga l’India e che vengano giudicati secondo le leggi di quel paese. Esattamente come sono rimasto scandalizzato dal giudizio sui militari coinvolti nella strage del Cermis, e scandalizzato dal fatto che li avessero giudicati nel loro paese (eppure in quel caso c’era un chiaro, anche se obsoleto, riferimento di diritto internazionale che nel caso dei Marò non c’è), non voglio vedere i due tornare in Italia, da eroi, per essere assolti (scommettiamo?) da eroi, per aver come si presume ammazzato due pescatori. Se fosse successo il contrario, con due soldati indiani a sparare a due pescatori italiani al largo delle nostre coste, ci saremmo comportati come l’India.
Enrico Albertini