After Dinner Mysteries - parte 2 di 2
Verso le ore 18 appaiono degli isolotti che annunciano la vicinanza di Phuket. Gli ospiti della crociera sono contenti e si preparano a fare la loro escursione, già attentamente pianificata in tipico stile asiatico. I miei amici Peer & Jamin sono contenti, perché si stanno pregustando una serata ad un bar di Patong, bevendo birra circondati da ragazze e da imitazioni di ragazze che li riempiranno di attenzioni. Io e Luigi invece siamo stati scelti per una scena clou.
Nel copione del film l’assassino potrebbe fuggire se la Princess Reiko attraccasse, quindi il Capitano giapponese, impersonato dall’attore Takeshi Kaga, mi porge un fax, io lo guardo con un’espressione piena di apprensione finché lui ordina: –avanti tutta fino a Singapore– e io e Luigi gridiamo all’unisono: –yes Sir!-. Una scena che, ripresa da 5 diversi angoli più volte, finisce alle ore 23. A questo punto l’unica escursione a terra si dovrà limitare al mercatino del porto. Qui ci sono le solite mercanzie che attraggono i passeggeri in transito: CD piratati, magliette e vestiti sia di foggia locale che anch’essi imitazioni delle grandi marche (imitazioni per modo di dire, visto che nella vicina Cambogia sono state delocalizzate molte produzioni internazionali) ed infine banchetti di frutta esotica e di pietanze locali. Dallo scaffale dei CD vedo spuntare un’immagine del ponte di Rialto e la scritta Carnevale. Incuriosito, lo estraggo, per scoprire che sotto il ponte di Rialto ci sono due donne dai volti russi e dal corsetto che lascia scoperti i seni: e’ un film porno in tedesco. Potenza della globalizzazione, i venditori di CD piratati hanno deciso di mettere anche questo sulla loro bancarella, segnale dell’esistenza di una clientela tedesca.
Accanto al film porno ce n’è uno che immagina l’Inghilterra invasa dai nazisti nel 1944, e la fine della guerra vicina con un Terzo Reich trionfante ed una pattuglia della Wehrmacht asserragliata in un villaggio Gallese d’inverno. Intravedo uno dei caratteri principali del film giapponese, che forse finirà anch’esso piratato e venduto su una bancarella di un porto turistico frequentato da giapponesi. Ci facciamo fotografare insieme, poi torniamo a bordo per il “supper”, che e’ una seconda cena tra mezzanotte e l’una. Ci poniamo alcune domande io e Luigi: se la serie televisiva “After Dinner Mysteries (Misteri Dopo cena)” ha avuto talmente tanto successo da venire riprodotta come film, con un certo investimento, che carattere ha un Giapponese medio, se esiste, che è spettatore di questo tipo di spettacolo? Un po’ come chiedersi chi sia l’Italiano medio che guarda i film di Vanzina. In quel momento ritornano da Patong i due amici Peer e Jamin, ubriachi ma felici. Saliti a bordo, si riparte.
Al mattino successivo ohayo gozaimasu (=buongiorno) piuttosto presto per una scena di piscina. Quelli grassi (come me) devono immergersi in piscina e nuotare, un po’ fantozzianamente perché al mattino presto l’acqua è gelida. L’assonato gruppo di ginnasti e ginnaste russi che la notte precedente avevano allietato il pubblico asiatico sia con il meraviglioso spettacolo “Somewhere in Time” o con i fremiti erotici dello spettacolo topless, ora si stiracchia e si esibisce alla luce del sole, senza riflettori o trucco. Sono tanto bellissimi quanto artificiali: in una nave da crociera tipo Costa le pance oltraggiate dall’età di chi può permettersi o anche desiderare di andare in crociera non farebbero lo stesso effetto. I Giapponesi ci vogliono così nel loro immaginario: belli, giovani e in gran salute, tutto il contrario di loro, quindi.
Verso ora di pranzo la nave si avvicina all’isola malesiana di Langkawi e le riprese cessano per almeno tre ore. La maggior parte dei miei compagni di ventura cinematografica sembrano paralizzati dall’idea di mettere piede a terra, non vedendo come in sole tre ore riuscirebbero a cavarci qualcosa di buono. Una signora scozzese appena divorziata, Josephine, anche lei una comparsa come noi, mi chiede cosa faremo. La invito a seguirci e dopo una breve passeggiata siamo alla lobby dell’hotel dell’approdo a prenotare un taxi. Per soli 2 Euro il taxi ci porta alla spiaggia più vicina che non è necessariamente la più bella della magica isola di Langkawi, eppure è una spiaggia con un panorama bellissimo di isolotti all’orizzonte, grandi onde di color turchese che si abbattono su una riva di sabbia grossa bordata di palme. La Malaysia, o Malesia, come la chiamiamo noi in Italia, è un Paese costantemente denigrato dai suoi vicini (come Singapore) per il rafforzarsi dell’influenza wahabita sulla debole identità islamica locale, portata dai commercianti indiani del Malabar. Anch’essi, a loro volta, erano nati dall’incontro tra la tolleranza indiana e i mercanti arabi dell’Hadramut più di milleduecento anni fa. Il discorso che circola qui, più o meno, è il seguente: – l’Islam è arrivato qui con il commercio, non con la spada– (versione edulcorata e propagandistica, perché i rajah appena convertiti in sultani facevano presto a percepire come desiderabile una guerra santa, jihad, che gli metteva legittimamente a disposizione le risorse del nemico/vicino). Poi la continuazione del discorso si divide in due filoni: c’è chi dice che per questo mito fondatore l’Islam della Malaysia non è fanatico, e chi dice invece, istigato dai Wahabiti, che proprio in quanto furono mercanti e non teologi coloro che portarono l’Islam in Malaysia, le tradizioni locali vanno rinnegate o al più purificate avvicinandole al “modello” che è l’Islam Saudita.
E nella realtà? Nella realtà due Italiani e una signora scozzese divorziata, tutti quarantenni, stanno camminando a piedi nudi in riva al mare. Arriviamo ad una capanna decorata con segni giamaicani, da dove esce musica reggae. La ragazza e il ragazzo (probabilmente entrambi vicini ai trent’anni, ma a causa della fisionomia malese, in apparenza più giovani) che gestiscono il posto ci chiedono cosa vogliamo. Con 8 Euro abbiamo tre birre e un piatto di stufato locale, più connessione wireless gratuita illimitata, mare meraviglioso e doccia per rimuovere il sale dalla pelle. Nonostante l’influenza della “città”, cioè di Kuala Lumpur dove i Sauditi hanno moltiplicato gli investimenti, qui siamo in spiaggia, e le influenze sono relativamente diverse. Inoltre i due sono “giovani” quindi non hanno ancora bisogno di essere conservatori e totalmente conformisti al mondo tradizionale. La Jamaica offre un’alternativa “non-bianca” al mondo dei loro vecchi e al mondo occidentale. Josephine ci “offre” la birra: del resto, se non fossimo scesi dalla nave non si sarebbe avventurata da sola, ci dice, quindi è un’avventura nell’avventura che le abbiamo regalato, ci spiega.
Tornati a bordo, verso le ore 15, si accumulano improvvisamente delle nuvole nerissime e si scatena un tipico acquazzone tropicale, che solleva anche onde alte. Nessuna altra scena si può’ quindi filmare, fino a Singapore il giorno dopo. Quando finalmente arriviamo a Singapore la scena della piscina viene ripetuta. Il regista sembra contento: tutta la troupe, rigorosamente giapponese ed escluse le comparse “caucasiche”, posa per una foto di gruppo. Poco dopo, quasi in un attimo, tutto il caos creato da luci, cavi elettrici, cineprese, schermi per riflettere la luce secondo certi angoli, sedie, casse, tutto, con efficienza nipponica, viene portato altrove e scompare. Il ponte della nave, privo di passeggeri ormai già sbarcati a Singapore mentre noi terminavamo le scene, sembra quello di una nave fantasma. Ma questo sarebbe un altro film…
Con un inchino a 45 gradi la signora giapponese che mi aveva reclutato mi passa 700 Euro in una busta.
di Giovanni LOMBARDO
After Dinner Mysteries – parte 2 di 2
After Dinner Mysteries – parte 1 di 2