Se la mafia arriva in Scozia

Saremo pure la terra della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta. Ma se le mafie hanno un marchio registrato tutto italiano al Bel Paese spetta anche un più meritorio primato: quello dell’antimafia. Perchè ora il problema non è più solo nostro, ma anche del resto del mondo. E se l’Unione Europea fa orecchie da mercante alle richieste di norme specifiche da parte  della capocommissione giustizia Rita Borsellino, il resto degli stati dell’Unione non ha intenzione di stare a guardare, vuole saperne di più. Perchè le mafie sono arrivate dappertutto, e tutti ci chiedono aiuto. Questo è quanto emerge dall’incontro “La multinazionale del crimine”, a festival dell’Internazionale a Ferrara. Relatori: Tonio Dell’Olio, Libera (associazione contro la Mafia), Pierluigi Stefalini Unipolis/unipol, Federico Varese, criminologo, Raffaele Cantone, procura antimafia Napoli, Michele Curto (Libera Flare) Enzo Cicolnte, docente universitario Roma 3.

“Siamo l’unico stato europeo ad avere una legislazione specifica antimafia – afferma dall’Olio, – ora ci sono gli inglesi e scozzesi che vengono a chiederci come funziona”. Sì perchè il ‘marchio registrato’ italiano si muove anche nell’isola britannica. A spiegare un caso concreto è in pm anticamorra Raffaele Cantone: “Sei anni fa Antonio La Torre, del clan La Torre di Mondragone, sposa una scozzese e se ne va in un paesino vicino a Edimburgo. Apre negozi e compra appartamenti, i soldi arrivano dal businness di racket, droga e falsi assegni (soprattutto veneti, inchiesta  “Titanic” del 2005, ndr). Le indagini e le dichiarazioni del pentito Michele Siciliano, ci consentono di ricostruire i traffici– spiega il magistrato – ma i giudici di Edimburgo non sanno che
farsene, e soprattutto la legge scozzese non prevede l’estradizione del latitante perchè non riconosce il 416 bis, ovvero il reato di associazione
mafiosa”. Solo più tardi la Scozia capirà che quel business inquina anche loro.

Dalla Scozia e Inghilterra si arriva anche alla Serbia, dice Michele Cutro, di Flare sezione internazionale di Libera”: “Abbiamo sostenuto gli avvocati serbi facendo in modo che venisse sequestrato un asilo costruito con i soldi sporchi del clan  che ammazzòl Zoran Djindjic (premier serbo, oppositore del regine di Milosevich, ammazzato il 12 marzo 2003 ndr), quell’asilo è gestito da volontari”. La confisca dei beni sequestrati alle associazioni malavitose esiste soli in italia. “Noi lo stiamo esportando anche nei Balcani” dice Cutro.

E poi si passa anche per il Canada, questa volta, protagonista, è la ‘ndrangheta. “Si parla della mafia siciliana che nel dopoguerra porta il contrabbando negli states, ma pochi sanno della corsa al Canada delle ‘ndrine calabresi negli anni ’30 – afferma Enzo Ciconte – e poi si arriva al  2007, strage di Duisburg in Germania, in cui la faida di San Luca si traferisce in un ristorante calabrese”.  I tedeschi conoscevano bene quel ristorante, il “Da Bruno” gestito da Sebastiano Strangio originario proprio di San Luca, vittima della strage. Solo che fino a quel ferragosto del 2007 non avevano avuto a che fare con i regolamenti di conti, con gli spargimenti di sangue. E cominciano ad informarsi, a chiedere ai magistrati calabresi che devono fare, in chedirezione devono andare.

Rita Borsellino chiede misure uguali negli gli stati membri, ma in questi giorni il problema si gioca “in casa”: tutti i relatori si sono detti molto preoccupati della nuova proposta Alfano sulla legge antimafia e sulle recenti dichiarazioni del ministro Brunetta sull’ inutilità dei certificati antimafia. Le organizzazioni criminali italiane, ma anche quelle serbo-albanesi, quella russa, quella cinese e quella sudamericana, potrebbero fregarsi le mani ancora per un bel po’.

Roberta Polese

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