Sciopero generale in Spagna, la sinistra alla riscossa (forse...)
Doveva essere la settimana del trionfo totale, per il Partido Popular. Domenica, le elezioni in Andalusia avrebbero potuto segnare per la prima volta il passaggio alla destra di una delle più storiche roccaforti socialiste. E stabilire un controllo senza precedenti sulla politica spagnola del PP di Mariano Rajoy, che avrebbe interpretato il successo come un appoggio alla sua “controriforma”, tagliando preventivamente le gambe allo sciopero generale di ieri.
E invece, domenica il trionfo in Andalusia non c’è stato. Sebbene il PP si sia affermato come primo partito, è rimasto ben al di sotto delle aspettative e lontano da quella maggioranza assoluta che gli avrebbe permesso di governare. Il PSOE e Izquierda Unida, con i loro 59 deputati (9 in più del Partido Popular) sono riusciti a fermarne l’avanzata.
E ieri, giovedì 29 marzo, è arrivato il momento dello sciopero generale. Sindacati generali uniti per protestare contro una riforma del lavoro che lascia campo aperto al despido libre, i licenziamenti facili ed economici.
Centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in strada in tutta Spagna per esprimere il proprio rifiuto di una reforma che fa piazza pulita con decenni di conquiste sindacali – imprese libere di aggirare i contratti collettivi, di ridurre unilateralmente gli stipendi dei lavoratori e licenziare senza giusta causa e con liquidazioni ridotte.
A guidare la protesta, naturalmente Barcellona, la rebelde. 300 000 manifestanti, queste le stime fatte dal País, sicuramente molto più realistiche degli 80 000 dichiarati dalla polizia municipale. Ieri, il Passeig de Gràcia, una delle principali vie turistiche della città, era un’unica e densissima fiumana di persone, che collegavano senza soluzione di continuità l’Avenida Diagonal con Plaça Catalunya. E poi 200 000 persone a Madrid, e in migliaia anche a Valencia, Bilbao e Alicante.
Rientrando a casa dal corteo (assolutamente pacifico), ho attraversato un centro stranamente vuoto di turisti, e in condizioni di guerriglia urbana: presidi della polizia antisommossa a ogni incrocio, barricate fatte di cassonetti in fiamme, qualche vetrina qua e là sfondata (prevalentemente di banche) e altri segni della rabbia e della frustrazione di una parte della popolazione.
Poche ore fa, poi, la desolante notizia dell’ennesima vittima dei reparti anti-sommossa: un manifestante ha perso l’occhio a causa dei proiettili di gomma, sparati sconsideratamente e al di fuori di qualsiasi protocollo di attuazione dai mossos d’esquadra.
Il governo ha già dichiarato che lo sciopero generale non fermerà la sua ondata (contro)riformista. I sindacati gli hanno dato tempo fino al primo maggio per ripensarci e aprire il tavolo delle trattative.
La primavera si preannuncia calda, ma il peggio probabilmente deve ancora venire. La morsa della crisi non accenna a placarsi, e i tagli più drastici alla spesa pubblica, che il governo ha scaricato sulle regioni, devono ancora essere chiariti.
Ma ora, la gente sembra meno disposta a tacere.
Luigi Cojazzi