Sahara marocchino: ai confini del mondo moderno
di Valentina Tortelli
“Vedi quelle montagne laggiù? Quella è la frontiera tunisina”. Ahmed, 26 anni, indica l’orizzonte, quell’unica striscia di roccia dopo chilometri e chilometri di deserto. Siamo oltre Merzouga, Sahara marocchino. Dalla terra di re Mohammed VI all’Algeria, in questo punto, ci sono solo 15km di piste di sabbia. La frontiera è chiusa. È sorvegliata da militari mandati in questa specie di confino, letteralmente al confine del mondo. Le loro casematte si ergono nella landa sassosa e arida di questa parte di Sahara, come dadi abbandonati su un tavolo da gioco color sabbia. Inutile dire che nel sole piatto di mezzogiorno non si vede in giro anima viva.
Oltre il villaggio di Merzouga, provincia di Er Rachidia, si staglia l’imponente Erg Chebbi: uno sbarramento di dune di sabbia lungo 30km e largo 10. I suoi 160 metri di altezza cambiano continuamente profilo, a seconda di come le folate di vento sparpagliano i granelli color dell’oro. Ahmed, ragazzo berbero di 26 anni in tunica blu elettrico, mi guida a dorso di cammello alla scalata della duna. Poi si prosegue a piedi, affondando nella soffice e fresca sabbia della sera. Oltre Erg Chebbi, si estende il Sahara fatto di sassi arroventati e di terra arida. Una landa che sembra lunare o marziana, dove vivono ancora i berberi nomadi nei loro dadi di terra secca e di tende colorate che svolazzano al vento caldo. Unici animali: galline e capre.
Ahmed racconta della sua vita di uomo berbero. Lui conosce il deserto perchè nel deserto è nato. Parla francese correntemente e sorride sempre. In questa terra estremamente dura, la vita è una sfida costante. Bisogna essere elastici e ridefinirsi sempre per poter sopravvivere. Dove non si può giocare di forza, dice il proverbio, si deve giocare d’astuzia. Ed è quello che ha fatto Hassan, 41 anni. Dopo la morte di tutto il suo bestiame a causa di una violenta siccità, il berbero Hassan ha lasciato il suo villaggio nel deserto e si è messo al servizio di un amico, in un Aubrege. L’Aubrege, qui a Merzouga, è una specie di Kasbah di terra secca con poche semplici stanze per dormire e una corte interna che protegge dalle tempeste di sabbia e dalla calura estiva. Dato il contesto e ciò che si trova intorno, agli occhi stanchi dei visitatori ogni Kasbah sembra piuttosto uno splendido Ryad. C’è acqua corrente sufficientemente fresca e penombra.
Hassan arriva da un villaggio berbero dietro le dune di Merzouga, avamposto del Sahara. In lui si incarna l’ospitalità berbera. Con grande senso dell’umorismo e una parlantina multilingue, offre il tè alla menta e inizia a raccontare la sua storia. E’ un imprenditore nato. In francese, mentre sorseggio appollaiata sui cuscinoni, spiega come ha messo da parte i 4000 euro necessari a comprare il terreno sul quale sorge il suo Aubrege des Roches. Il commercio dei fossili del Sahara rende abbastanza e Hassan ha continuato ad accantonare i suoi risparmi. Poi, senza l’aiuto di un architetto, ha costruito la sua casa in mattoni di fango, con tanto di mura di cinta e corte interna. L’ottima cucina gestita dai fratelli sforna succulenti tajine e la tradizionale kahlia.
I berberi stanziali come Hassan, Ahmed, Moustafà, Ibrahim che ho incontrato, sono estremamente socievoli. Credo che la loro socialità sia spinta da una violenta curiosità di conoscere il mondo. Attraverso i racconti dei visitatori che approdano ai loro villaggi, gli uomini del deserto imparano e immaginano l’Europa, la gioventù occidentale, i costumi diversi, dettati da diversa cultura e da una religione più permissiva rispetto a quella musulmana. Mentre gli uomini sono alla mano, avvicinare le donne berbere è difficilissimo. Forse, con attenzione e discrezione, si può solo incrociare per strada qualche sguardo incorniciato dal nero del kajal. Nulla di più. A Ouarzazate, sulla via per Merzouga, chiedere informazioni alle uniche due donne che ho incontrato è stata una impresa difficile. Se c’è un uomo, non si avvicinano. Ma con le altre donne, anche se occidentali e senza velo, sorridono.
Dizionario
Ryad = casa nobiliare cittadina con corte interna e spesso una piscina
Kasbah = quartiere o casa fortificata
Tajine = stufato di pollo o manzo con verdure cucinato nella terracotta
Kahlia = piatto tipico del sud con legumi, carne ed uovo
Quattrequattre = fuoristrada 4X4 con il quale si affronta il deserto
Kajal = matita per occhi nera e molto morbida