Rivoluzione a scuola: per liberare il futuro dell'Italia
Come un carcere: dove si entra senza scegliere cella, secondino e compagni. Dove si studia francese perché ci sono tanti insegnanti di francese, in edifici che alla mattina – alla stessa ora – si riempiono e al pomeriggio – alla stessa ora – si svuotano. Tutto d’un colpo: facendo arrivare centinaia di studenti in contemporanea intasando strade e mezzi pubblici e lasciando strutture inutilizzate al pomeriggio e alla sera. La scuola media superiore italiana – così come l’abbiamo conosciuta – è forse giunta al capolinea.
Abbiamo da poco pubblicato la classifica PISA sulla preparazione dei quindicenni italiani, ma è l’esperienza di tutti i giorni a dirci che bisogna cambiare se vogliamo dare un futuro a questo paese. E per cambiare la scuola non servono solo più soldi (o almeno non ora) ma una macchina diversa che metta al centro lo studente e l’insegnante. Lo sostiene Corrado Poli – che su And è stato autore di diversi post nel blog UpsideDown– nel suo libro “Rivoluzione a scuola. Come rendere felici e migliori insegnanti e allievi” (Infinito edizioni, 160 pagine, 13 euro, acquistabile online scontato e in versione epub).
E’ evidente che gli insegnati sono un gruppo poco rispettato e ancor meno amato. A meno di cambiamenti radicali, nella situazione corrente, io stesso oggi non investirei un centesimo in più
Dopo una vita passata ad occuparsi di questioni ambientali e urbanistiche a livello internazionale, con esperienze negli Stati Uniti e frequentazioni universitarie, Poli ha deciso – a 60 anni – di ricalarsi nella realtà della scuola media superiore italiana spinto dalla voglia di insegnare. Un viaggio ai limiti dell’immaginabile tra burocrazia e sciatteria di una macchina pensata per un’altra epoca e per un altro tipo di Paese. Un meccanismo che stritola competenze ed entusiasmi, che imprigiona possibilità e intelligenze minando il futuro dell’Italia.
Il pregio del libro di Poli è soprattutto quello di andare oltre la denuncia – a tratti assurdamente divertente – dello stato attuale delle cose e di proporre una ricetta per uscire da questa crisi. Inizio da qui, dai tre punti che Poli mette in campo, perché mi sembrano un’utile stimolo di discussione per individuare una giusta terapia choc di un malato ormai giunto allo stadio terminale:
Il primo è l’abolizione del valore legale del titolo di studio che creerebbe le basi per una riforma vera che costringerebbe le scuola alla competitività e indurrebbe a legiferare per una scuola pubblica non statale gestita a livello comunale o provinciale.
Il secondo è la decostruzione della classe e dei curricula di studio che consentirebbe agli allievi di scegliere le materie e gli insegnanti liberamente ma soprattutto si riorganizzerebbe la scuola in modo che gli allievi passino più tempo tra loro imparando a organizzarsi. In questo modo la scuola diventa una scelta critica continua da parte di tutti e non un sistema cristallizzato.
Terzo organizzare il controllo in altro modo, sollevando gli insegnanti dal degradante ruolo di guardiani degli studenti, responsabilizzandoli e delegando i bidelli. In questo modo l’impiego orario degli insegnanti si ridurrebbe, così come sollevandoli dall’obbligo alla partecipazione degli organi collegiali. Queste ore liberate serviranno a dedicare all’insegnamento tempo in modo più creativo.
Proposte che nascono dall’osservazione diretta di un ambiente che mostra tutti i sintomi di una sclerosi acuta: insegnanti che considerano il proprio lavoro alla stregua di quello di un impiegato delle poste; edilizia ed urbanistica scolastica mostruosamente lontane da un utilizzo razionale delle risorse all’interno di una comunità; burocratismo spinto; collegialità obbligata e mal sopportata; infelicità diffusa.
Proprio da qui parte Poli: dalla necessità di lavorare sul materiale umano esistente (insegnanti e allievi) per produrre dei cambiamenti subito e riportare il sorriso e la voglia di insegnare e imparare nelle nostre classi. La ricetta di Poli – al di là delle tre azioni choc proposte – si basa sulla necessità di coinvolgere in modo più organico le comunità locali (sia dal punto di vista amministrativo che nella selezione di presidi e insegnanti); di introdurre contratti flessibili che consentano riqualificazione e ruoli diversi anel corso della carriera; di restituire dignità al corpo docente. Dignità che non si riconquista chiedendo l’elemosina (le critiche al sindacato sono chiare) a uno stato con le tasche vuote, ma con un processo di autoriforma e rivalorizzazione del proprio ruolo.
Non è ancora un progetto di riforma, ma una buona provocazione per aprire la mente. Caldamente consigliato agli insegnanti che vogliono aprire gli occhi.
And