Il ristorante «dei rifugiati» dal Veneto a Masterchef: storie quotidiane d’integrazione

C’è un angolo di Padova che può far toccare con mano quell’integrazione che molto spesso avviene così, quotidianamente, sotto i nostri occhi. Siamo nel cuore della città, in piazza Capitaniato. Dove da qualche mese lo storico ristorante «Ai Gemelli» – cucina tipica italiana – ha lasciato il posto al «Peace&Spice», un ristorante etnico con una particolarità: vede ai fornelli dei rifugiati. E i tavoli continuano a rimanere pieni. Anzi, forse sono ancor più affollati della gestione precedente. Tanto che Alì Khan Qualandari, chef afgano e uno dei soci fondatori (insieme ad altri cinque rifugiati) è approdato alla cucina più conosciuta d’Italia, quella di Masterchef.

Il suo è un nome che forse non vi dirà nulla, ma nasconde una storia lunga chilometri e anni di sacrifici e investimenti. Una storia tutta veneta di integrazione: il ristorante padovano, infatti, è il quarto aperto dai sei soci, dopo tre a Venezia. E così, a soli 5 mesi dall’apertura patavina, lo abbiamo ritrovato ospite nella puntata di Masterchef di giovedì 22 febbraio, assieme ad altri colleghi chef con alle spalle una storia simile alla sua. Meglio non aggiungere particolari per evitare spoiler e lasciare a chi vorrà il piacere di guardarsi la trasmissione.

I soci: Alì Khan Qualandari è il primo a destra

I soci: Alì Khan Qualandari è il primo a destra

Il «Peace & Spice», dicevamo, è il quarto ristorante che Alì e i suoi soci hanno inaugurato e portano avanti con successo, a partire dal primo a Venezia nel 2011. Dall’Afghanistan all’Italia, arrivato come clandestino e ora affermato imprenditore nella ristorazione. Non parliamo di una favola, ma di un percorso lungo in cui lo spirito di gruppo e condivisione si è rivelato l’arma vincente. La filosofia dei ristoranti di Alì e soci è quella di raccogliere storie e culture di chi, come loro, ha percorso strade impervie per raggiungere l’Italia, lasciando la propria terra. Il loro staff di cucina è per lo più composto da rifugiati, selezionati proprio in stile «Masterchef». È così che nei loro piatti unici si possono incontrare Siria, Libia, Pakistan, Turchia, Afghanistan, in un incontro di sapori che non lascia spazio a conflitti culturali. E si narra che più di qualche cliente, arrivando al locale convinto di trovare la vecchia gestione, se ne sia uscito a pancia piena, soddisfatto. Perché in fondo l’integrazione, molto spesso, è più facile di quanto si pensi.

 E.G.

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