Raccogliere le olive in pieno autunno: il lato bucolico della Palestina

Prende avvio con questo racconto un nuovo blog: Quattro appunti dalla Palestina

E’ un venerdi mattina ridente e soleggiato. Dal sedile di guida dell’auto, col finestrino mezzo aperto, ammiro i paesaggi campestri della Palestina che mi scorrono davanti agli occhi. Il cielo è azzurro, limpido, brillante; e i rilievi ondulati sono tinti di pennellate verdi, brune e olivastre.

Ho imboccato una strada secondaria che serpeggia tra le colline in direzione di Salfit, una piccola cittadina a sud di Nablus. Vado ad aiutare un mio collega e la sua famiglia a completare la raccolta delle olive. La stagione della raccolta è iniziata verso metà ottobre, e credevo fosse già finita da tempo; ma siccome è piovuto a lungo all’inizio di novembre, molte famiglie non hanno potuto terminarla. Questo fine settimana il tempo è bello e tutti cercheranno di finire il lavoro lasciato in sospeso. E io ne approfitto per passare una giornata all’aria aperta e in compagnia!

La produzione delle olive e del loro olio è un importante tratto culturale in comune tra palestinesi e italiani. Tanto noi come loro non sapremmo cucinare senza l’olio d’oliva. E nei mercati e sulla tavole palestinesi si trovano olive marinate verdi e nere, e vari tipi di oli d’oliva, di una qualità eccellente che non ha nulla da invidiare alla nostra. E’ curioso notare che in Palestina gli ulivi più antichi, con più secoli di vita alle spalle, vengono comunemente chiamati ‘rumi’ o ‘rumani’, ossia romani, anche se la maggior parte non è certo antica fino a quel punto.

Eccoci, siamo arrivati. Mu’ammar è venuto ad aspettarmi sul ciglio della strada principale, ci siamo inoltrati per una stradina sterrata tra gli oliveti, e abbiamo raggiunto il resto della sua famiglia. Suo padre, suo fratello e i suoi due zii lavorano alacremente attorno ad un albero, staccando le olive a mano con movimenti rapidi e precisi, e lasciandole cadere su dei larghi teli di plastica stesi al suolo. A pochi metri da loro, sua madre, sua moglie e una sua zia passano al setaccio le olive raccolte da altri alberi per separarne le foglioline e i ramoscelli. Infine, un bel gruppetto di bambini e bambine corrono di qua e di là e giocano a pallone sulla strada.

Dopo i saluti calorosi e gli imprescindibili convenevoli della cultura araba, mi unisco agli uomini e inizio anch’io a cogliere le olive. Scelgo uno dei lati bassi dell’albero, per poter lavorare da terra, stando in piedi. La giornata è perfetta: il sole risplende e riscalda ma senza scottare, e l’aria è fresca e pulita. Dopo una settimana intera trascorsa a lavorare e scrivere davanti al computer, il mio corpo aveva davvero bisogno di compiere dell’esercizio fisico!

Temevo che fosse un lavoro duro, e invece non lo è. Manteniamo un ritmo regolare e andiamo avanti con costanza, un albero dopo l’altro, ma senza esagerare. Non ci sono né orari predefiniti, né paghe, né compensi, e quindi nessuno ci corre dietro. Chiacchiero con gli altri uomini, e li scopro molto interessati e molto informati sulla storia e sulla politica palestinese. Uno degli zii di Mu’ammar faceva parte della resistenza e ha trascorso qualche anno nelle prigioni israeliane. Hanno viaggiato in vari paesi del Medioriente e mi raccontano le loro esperienze. Sono davvero contento di poter conversare con loro. Sono tutti di vedute laiche e liberali, e si lasciano scappare anche qualche racconto di feste e di bevute, nonostante alcuni commenti di riprovazione delle loro signore

…le quali nel frattempo hanno acceso un fuoco da campo per prepararci un’abbondante colazione in stile arabo. Formaggio, pomodoro e cetrioli, hummus, falafel, uova, yogurt, e tanti altri stuzzichini salati. Ci sediamo al suolo a gambe incrociate per mangiare, e ci gustiamo questo bel momento di riposo. Il fratello di Mu’ammar si lamenta di aver dimenticato a casa il suo narghilè. Siamo insomma a metà strada tra una vera giornata di lavoro e un piacevole picnic… 

Riprendiamo la raccolta e continuiamo con lentezza ma con metodo, un albero dopo l’altro, mentre il sole supera il suo zenit e la mattinata scivola via verso un languido pomeriggio. Continuano le chiacchiere, gli scherzi e le risate. Tra di loro parlano nel dialetto abbastanza stretto della loro zona, e a volte faccio fatica a seguirli. Acquistando più disinvoltura, inizio a salire sulle scalette di legno e ad arrampicarmi sui tronchi per raggiungere le olive sui rami più elevati. Mi vengono in mente certi pomeriggi spensierati da ragazzino. Da quanti anni non salivo su un albero? Poco importa, il mio corpo ha buona memoria e non si è dimenticato come si fa…

Terminiamo il lavoro verso le tre e mezza del pomeriggio; manca solo un’oretta prima del tramonto. Mu’ammar e la sua famiglia insistono per invitarmi a mangiare il pranzo a casa loro, in centro a Salfit. Non posso proprio rifiutare. Per di più, mi regalano una bottiglia d’olio novello, e un’altra bottiglia piena di olive verdi marinate con sale e limone. Insomma oltre ad essermi goduto una bella giornata di esercizio fisico e la loro squisita compagnia, vengo pure ricompensato! Tornerei volentieri nel prossimo fine settimana, per lavorare ancora con loro! Purtroppo gli mancano solo una manciata d’alberi, e tra un paio di giorni contano di chiudere la stagione. Peccato, sarà per l’anno prossimo.

Quattro appunti

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