Quattro giorni nelle Langhe, day 1
Mio cugino ha parlato stasera.
Mi ha chiesto
se salivo con lui: dalla vetta si scorge
nelle notti serene il riflesso del faro
lontano, di Torino. “Tu che abiti a Torino…”
mi ha detto “…ma hai ragione.
La vita va vissuta
lontano dal paese: si profitta e si gode
e poi, quando si torna, come me a quarant’anni,
si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”
Cesare Pavese – da I mari del Sud
Le Langhe non si perdono, è vero. Anzi, se Pavese ce lo concede, le Langhe TI perdono. Hanno la capacità di sospendere il tempo, rigenerarti, confonderti – perché no – e poi rimandarti indietro un po’ nuovo, riposato più di prima della partenza. C’è il rischio di “scadere” nella ricerca della prosa, e se non la sai fare bene è meglio nemmeno provarci. Ma la colpa è del paesaggio, va detto. Quattro giorni nelle Langhe – a puntate – , fra sole e pioggia, con preponderanza alla prima che ho detto.
Day 1: barbareschi
Arriviamo dalla pianura padana, c’è il pericolo pioggia. Direzione La Morra, in realtà Borgata Serra dei Turchi (bel toponimo, non fossimo cazzoni ci chiederemmo il perché). C’è il sole, fa caldo. E allora si decide di fare un giro per borghi e per colli (bella forza, direte, la pianura è vietata). Le Langhe ci accolgono a Santo Stefano Belbo. La cittadina è dicotomica: qualche bella strada, un centro troppo nuovo. Ma in realtà è un omaggio: la casa natale di Pavese è là, e va vista. Fa angolo su una strada provinciale, dietro nasconde un bar. Proprio niente di che: ma l’emozione c’è. Rifletto: Pavese poteva nascere in un bloc comunista di periferia, era bello uguale.
Scattano le prime foto mentre si va in direzione Neive: un gioiellino di stampo medievale, si gira in mezzora, architetture diverse in case e palazzi (molto) curati. L’impatto è forte: beviamoci su. Per farlo ci si trasferisce a Barbaresco, perché siamo pur sempre nelle Langhe, una zona dove tutto è vigna o nocciolo. Vino o Nutella, grandi cantine o la Ferrero: si vive bene, la crisi non sembra sentirsi dicono gli abitanti. Barbaresco è il comune dove si produce l’omonimo vino, pregiatissimo. Il borgo è bello, forse meno di Neive, ma godibile. La chiesa sconsacrata che ospita l’enoteca comunale vale il viaggio. Se penso al mio concetto di religione, è questo. Non penso sia neanche poi troppo blasfemo: in una terra che vive dei suoi vini, che invadono il paesaggio (tutto è vigna, anche il minuscolo metro quadro di terra), l’enoteca comunale è veramente un luogo di culto. S’arriva poi a La Morra, breve pausa nell’appartamento sperduto sui colli, poi aperitivo e cena a Verduno, dove si Pelaverga un po’ (è un vino bianco, quasi un ossimoro, ma ci si prova: ricordo da inesperto, speziato).
Alle undici e mezza siamo a letto: la vecchiaia avanza, si mangia, si assaggia vino, si cammina, e insomma c’è ancora tanto da vedere. Prima sensazione: nonostante l’avessimo scelta, la Langa, perché c’affascinava, si va oltre le aspettative. Non di solo colle toscano ci si può nutrire. Altra cosa: tutti molto cortesi. Camerieri, ristoratori, simpatici vecchietti su immemorabili panchine. E sì che il piemontese me lo immaginavo algido, un po’ schivo, “nobile”. Ma si vede che il turismo nella zona sta aumentando, è sempre più forte: speriamo non si espanda troppo. Comitive di cinesi, rubicondi tedeschi che ordinano birra (birra!!), pittori provenzali o inglesi con cavalletto, rovinerebbero la zona. Sono stereotipi, lo so, ma meglio non vederli avverati, per una volta.
Goffredo Caoduro – continua