Point Lenana a Bolzano, tra toponomastica e nazionalismo
Point Lenana, il romanzo di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, fresco vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo arriva a Bolzano. Mercoledì 4 settembre alle 18 alla Biblioteca civica (via Museo 47) il misterioso autore – componente del collettivo bolognese Wu Ming già autore di best seller come Q e Altai – presenta il suo nuovo romanzo incentrato sull’alpinismo. Insieme a Wu Ming 1 (autore del libro) intervengono Augusto Golin (alpinista e storico dell’alpinismo) e Flavio Pintarelli (semiologo).
L’incontro, organizzato dalla Biblioteca civica con il patrocinio dell’assessorato alla Cultura e alla convivenza della città di Bolzano, è l’occasione per riflettere sull’intreccio che ha visto la storia dell’alpinismo fondersi con quella del nazionalismo italiano. L’Alto Adige non poteva, proprio per questo, non essere uno dei protagonisti di Point Lenana: le vette alpine come terreno di affermazione del nazionalismo italiano; la figura di Emilio Comici e le sue imprese in Val Gardena; il ruolo di Felice Benuzzi (protagonista del romanzo) come mediatore tra Austria e Italia negli anni Sessanta; le sue radici che affondano appieno nell’impero Austro Ungarico e nello specifico a Dro.
LE DATE A MOLVENO E TRENTO
La data di Bolzano è la prima di tre che vedono impegnato Wu Ming 1 (al secolo Roberto Bui) tra Alto Adige a Trentino. Giovedì 5 settembre appuntamento a Molveno alle 21 nella Sala Congressi nell’ambito della rassegna “Alpitudini. Storie e sguardi sulle montagne”. Con WM1 ci sarà il sociologo Christian Arnoldi. Introdurrà l’incontro Stefania Donini. Stessa composizione, con Arnoldi e Wu Ming 1 anche a Trento, venerdì 6 settembre alle 19 al Caffè letterario Bookique di via Torre d’Augusto 29. Modererà l’incontro Luca Barbieri, direttore del sito A Nord Est di che, https://www.anordestdiche.com .
IL LIBRO
Point Lenana (Einaudi, pp.608 € 20,00) prende le mosse dall’impresa che Felice Benuzzi compì nel 1943 scappando da un campo di prigionia inglese, scalando il monte Kenya e piantando il tricolore su Punta Lenana, 4985 metri: 17 giorni di fuga che terminano con il ritorno spontaneo degli italiani al campo di prigionia, l’ammirazione degli inglesi e un posto nella storia dell’alpinismo. Un libro sfaccettato e complesso che ricostruendo la figura di Felice Benuzzi – alpinista, scrittore e diplomatico – ricostruisce un pezzo di Novecento: quello in cui la montagna, pur essendo diventata terreno di conquista da parte dell’ideologia fascista, voleva dire libertà individuale. Dalle angustie quotidiane, dal nazionalismo, dalle avventure imperiali, dal nazifascismo infine.
Ma chi è Felice Benuzzi? Un patriota, un nostalgico, un nazionalista, un fascista? Wu Ming1 e Roberto Santachiara partono alla ricerca delle motivazioni reali di Benuzzi ripercorrendo la scalata a Point Lenana accompagnati dalle pagine di “Fuga sul Kenya”, il libro che Benuzzi scrisse sulla vicenda, un racconto che diventa, man mano che lo studio avanza, “un ipertesto”, un libro dove le parole e le loro sfumature diventano cliccabili aprendo la strada a svolte e deviazioni su un secolo di storia. La macchina narrativa di Point Lenana è complessa. “Ibridazione di saggistica e narrativa (sono parole degli stessi autori) un oggetto narrativo non identificato”. A tratti il testo sembra la sceneggiatura di un film. Ed è un film avvincente, appassionante, coinvolgente.
Come dice lo storico Santo Peli riferendosi a Wu Ming1: “Uno storico al lavoro, dunque, senza la palla al piede della nota a pie’ di pagina. Molta invidia e ammirazione, e intenso divertimento. E’ forse la formula più felice, di quelle finora a me note, per risolvere il problema di una narrazione storica capace di coinvolgere un vasto pubblico, senza rinunciare alla precisione”.
POINT LENANA NELLE PAROLE DEGLI AUTORI
E dunque, che razza di libro è questo?
È un racconto di tanti racconti. Parla dell’Africa (di tante Afriche) e delle Alpi Giulie, parla di Italia e «italianità», di esploratori e squadristi, di poeti e diplomatici, di guide alpine e guerriglieri. Attraversa i territori e la storia di quattro imperi.
È un racconto di racconti di uomini che vagarono sui monti. Uomini che in pianura e in città indossavano elmi, cotte di maglia, armature da ufficio, e solo in montagna si sentivano finalmente leggeri, finalmente sé stessi. La montagna era tempo liberato, rubato al dover vivere, conquistato con unghie, denti e piccozza. Quando scendevano – perché prima o poi tocca farlo – la vita li riafferrava, la gravità li tirava giú e tornavano a essere, come scrisse uno di loro che poi si tolse la vita, «i falliti». Lo furono anche nella buona sorte: qualcuno ebbe successo nella professione, girò il mondo, fece piú di una bella figura in società, poté contare su una famiglia che lo amava… Eppure, nulla di tutto ciò rimpiazzava una salita in montagna, una notte in bivacco, uscire dal rifugio e assistere in marcia al sorgere del sole.
Tutti i giorni sognavano. Sognavano il cameratismo della cordata o la pace concentrata e acuta dell’ascesa in solitaria. Tutti, senza eccezioni, sognavano il vento che sferza naso e guance mentre lo sguardo si perde dalla vetta, rivivevano l’istante prima della discesa, l’ultimo languore che precede la tristezza, la mancanza, il congedo dal mondo che non conosce il dover vivere.
Qualcuno ha detto: la vita è quel che che ti accade mentre cerchi di fare altro. Quei «falliti» siamo noi, noi che mal sopportiamo le interruzioni. «Fallito» è chi scrive queste righe: che siamo alpinisti o scrittori (e a volte siamo entrambe le cose), artisti o viaggiatori, noi non riusciamo a farci comprendere, abbiamo la testa scoperchiata e il cielo dentro, vorremmo disertare il dover vivere, chiedere asilo nel mondo alternativo che ogni tanto visitiamo, ma non si può, perché la vita è altro, la vita è quel che irrompe e spezza il filo dei pensieri, dei sogni a occhi aperti.
Per riafferrare quel filo la prossima volta, o illuderci di poterlo fare, noi scriviamo. Scriviamo appunti, resoconti, lettere, a volte romanzi.
Tra i «falliti» di cui racconteremo, la montagna fu male divenuto cura: bacillo inoculato in tenera età, tornò utile per lenire i traumi dell’educazione rigida, della corazza da «veri uomini» (quelli che non piangono e non si perdono in mollezze!), del lungo viaggio attraverso il fascismo e la guerra e, per alcuni, di una lunga prigionia, un difficile ritorno, un impossibile riadattarsi.
Quei traumi li accompagnarono per tutta la vita. Non si liberarono mai dell’armatura, ma sui monti vissero momenti di intensa gioia, sincera autocoscienza, incorazzata lucidità.
Noi lo sappiamo perché ne scrissero.
Nella scrittura e solo in essa, quegli uomini furono senza difese, e anche dove cercarono di difendersi con piccole reticenze e intenzionali lacune, affidarono ai lapsus calami le loro verità. Ci hanno raccontato il mondo alternativo e dunque, per contrasto, il mondo del dover vivere.
Da qui ripartiamo. Per far tesoro della spinta che supera la «bestiale acquiescenza all’immediato», e trovare noi stessi in quelle pagine.
Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, «Point Lenana»
RECENSIONI
https://www.anordestdiche.com/point-lenana-le-vette-della-razza/
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=13960#more-13960
FOTO E VIDEO
http://www.einaudi.it/speciali/Wu-Ming-1-Roberto-Santachiara-Point-Lenana
http://pinterest.com/einaudieditore/point-lenana/
http://pointlenana.tumblr.com/
Wu Ming su Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Wu_Ming