Perché la DDR ci piace (ancora) così tanto
Ogni volta che torno da Berlino mi chiedo per quale meccanismo psicologico la DDR ci attragga ancora così tanto. Parlo della generazione tra i 35 e i 45 anni, quelli che sono riusciti a vedere almeno un mondiale con la falce e il martello sulle maglie. La maglia rossa della CCCP era bella certo: ma cosa c’era di meglio della nazionale della Germania dell’Est, con quel suo sapore di efficiente e tedesca via al socialismo reale? Tutte le rivelazioni successive, il doping, le misere condizioni di vita non sono mai riuscite a spazzar via del tutto quella pavloviana simpatia per gli sconfitti dalla storia. Anche se mai, ci mancherebbe, ci saremmo schierati dalla loro parte. Piuttosto contro gli uni e gli altri, ma di sicuro mai con.
Per questo a Berlino ho visitato un museo (e mezzo) per tuffarmi nella vita della DDR a caccia della famigerata Ostalgie. Il termine è entrato in uso per definire quel sentimento di nostalgia per i tempi andati diffusosi tra gli abitanti della ex repubblica democratica tedesca in cui lo stato pianificava a tutti una vita sicura, spartana e con gran poca libertà . Da fenomeno di costume, nato tra le bancarelle dei mercatini a Mauerpark e tra appassionati in cerca di memorabilia, ora la Ostalgie si sta cristallizzando in fenomeno museale. Evoluzione interessante che lascia sperare nella costruzione di punti di rielaborazione del passato che vadano oltre l’aspetto di costume.
Se siete interessati al tema, a Berlino, dall’altro lato della Sprea rispetto al Berliner Dom, è stato aperto nel 2006 il DDR museum, inaugurato proprio in occasione dei 60 anni della repubblica democratica della Germania Est.
Il museo è piccolino ma ricco di documenti, filmati e un buon grado di interattività: potrete guidare una vera trabant grazie a un simulatore di guida, visitare un appartamento della Ddr anni Settanta, scoprire come si svolgevano gli interrogatori della Stasi, vedere i programmi televisivi, dai cartoni animati alle trasmissioni del sabato sera. La vita cioè che per circa quarant’anni è stata vissuta con passione, sofferenza e divertimento da quasi venti milioni di tedeschi. Non pensate di essere in pochi a volerlo visitare. La coda è lunga e, oltre ai turisti, ci sono anche molti tedeschi.
Il fatto è che la Ddr vista dal di dentro, depurata dalla Stasi, dal dominio di Mosca, e da una nomenclatura paranoide era anche un mondo a sè, non privo di fascino: solidarietà sociale diffusa, temprata proprio dalla scarsità di alcuni beni di consumo, vacanze pianificate e sicure, naturismo in spiaggia e una certa libertà sessuale. Un sistema che fa tenerezza, visto ora, per il grado di maturazione tecnologica. È questo a mio avviso uno dei fattori determinanti del successo postumo della Ddr.
Ma non è forse lo stesso sentimento che proviamo quando vediamo, in un mercatino, gli oggetti di modernariato? Le radio a transistor, le riviste ingiallite, gli abiti anni sessanta. Immergersi nella vita quotidiana analogica della Ddr piace perché ci permette di vedere il passato come se appartenesse a un mondo altro e non a noi.
Per chi l’ha vissuta dal di dentro, è questa l’idea superficiale che mi sono fatto, la Ddr ha l’affascinante aspetto dell’attesa: del socialismo prima, del capitalismo negli ultimi mesi. Nulla, dopo quarant’anni d’attesa, sofferenze e promesse potrebbe apparire più bello dell’attesa stessa. Come una Berlino imbiancata sotto una campana di vetro, con le Trabant che passano, le vetrine piene di oggetti che sanno di futuro e lo Sputnik che ruota in orbita.
Per noi turisti italioti che ci siamo arrivati canticchiando i CCCP, invocando piani quinquennali, la stabilità, la Ddr ha la funzione di mercatino ideologico del nostro passato. Con tanto di epica ma futile vittoria di Pirro intermedia, quella ai mondiali del 1974 in cui nell’unico scontro diretto della storia la Ddr vinse per uno a zero con questo gol da brividi messo a segno da Sparwasser.
Sarà stato per questo che la visita al museo della Ddr – una visita mediamente approfondita richiede sulle due ore – soddisfa tante curiosità ma lascia un po’ di amaro in bocca: dove rintracciare la carica ideologica, le motivazioni di questo molto altro che pur ci appartiene? La risposta potete trovarla a poche centinaia di metri di distanza visitato il Deutsches Historisches Museum all’inizio di Unter den linden (sempre venendo dall’isola dei musei).
Al piano terra, interamente dedicato al Novecento, a partire dal 1945 il percorso museale – così come la storia tedesca – si separa in due tronconi paralleli, brevi ma ricchi di documenti. La fuga nei primi anni di Ddr di quasi due milioni di tedeschi da est a ovest, il ruolo giocato dalla Ddr nel blocco sovietico e l’opposizione interna trovano qui una trattazione più scientifica che depura gli elementi mitologici dell’una e dell’altra parte. Il colpo di spugna effettuato a Ovest dalla nascente repubblica federale nei confronti della burocrazia nazista, che entrò a far parte in massa del nuoso Stato, non viene sottaciuto, anzi; così come l’opera di autocritica che la Germania Ovest seppe avviare negli anni Sessanta e Settanta grazie a una nuova generazione capace di criticare e mettere in discussione la vita dei padri. Così si scoprono i dati macroeconomici che portarono al collasso del sistema ma anche il grande balzo modernizzatore fatto negli anni Settanta per quanto riguarda gli alloggi e i socialisti sforzi che nella microelettronica la Germania Est seppe portare avanti. Sostengono in molti che l’unione delle due Germanie sia stata in realtà un’annessione, con vincitori e vinti. Fondere le memorie, a distanza, non sarà forse possibile. Conoscerle rimane un dovere.
Foto di Marcus Lenk da Unsplash