L'azienda, la terra, i volontari, la città: così a Bolzano i profughi diventano agricoltori

Fino a pochi mesi fa era uno spiazzo di terra incolta, oggi invece lì crescono oltre trenta qualità di verdura, erbe aromatiche, piccoli frutti, il tutto coltivato secondo le tecniche per l’agricoltura biologica. Siamo a Bolzano sud, davanti alla palestra d’arrampicata nella sede del Gruppo Salewa-Oberalp, azienda italiana di attrezzature ed abbigliamento per la montagna. Questa non è solo una storia di attenzione per l’ambiente, è soprattutto un racconto di attenzione all’altro, di persone che cercano soluzioni a uno dei problemi più delicati della nostra quotidianità. Ad occuparsi dei 3mila metri quadrati di terreno coltivato sono infatti quindici migranti e rifugiati, provenienti da diversi centri di accoglienza della città, che devono riempire il tempo che sembra fermarsi mentre la loro richiesta d’asilo viene esaminata.

Il progetto, partito in marzo, è stato voluto da Stephanie Völser, 25 anni di Ega, insegnante di italiano volontaria per l’associazione Binario 1, e da Heiner Oberrauch, presidente del Gruppo Salewa-Oberalp di cui Völser è l’assistente esecutiva. È nato così l’Orto Salewa. «Non avere niente da fare è una della cose peggiori – afferma Oberrauch –perché toglie alle persone dignità e speranza per il futuro. Ho provato a proporre alle associazioni e alle istituzioni locali delle attività da destinare a profughi e migranti, ma senza risultato». Col tempo però si è trovata una soluzione. Provvidenziale è stata la collaborazione con Andrea Sacchet della cooperativa sociale Officine Vispa, che ha integrato rifugiati e migranti come soci della cooperativa.

Salewa

I migranti provengono da Senegal, Mali, Gambia, Kurdistan, Congo, e sono seguiti da volontari come Caroline Hohenbühel, che opera presso l’associazione Binario 1, e Josef Zemmer, che sta insegnando loro le tecniche dell’agricoltura biologica. L’associazione Binario 1 coinvolge volontari provenienti da tutto l’Alto Adige che si impegnano per migliorare la situazione dei profughi in Alto Adige. Non fanno parte di alcuna organizzazione e spontaneamente, di propria iniziativa, si coordinano tramite WhatsApp, Facebook e via e-mail.

«Siamo soddisfatti del risultato raggiunto, perché il progetto è riuscito a coinvolgere più soggetti che come noi pensano che la politica non possa risolvere tutto e che sia un dovere civile impegnarsi in prima persona» continua Oberrauch, convinto che per raggiungere una vera integrazione serva impegno attivo e soprattutto autonomia economica. Oltre ai volontari, il progetto ha catturato l’attenzione di Gregor Wenter ed Egon Heiss, rispettivamente proprietario e chef stellato del ristorante Bad Schörgau di Sarentino (Bolzano), che hanno subito voluto diventare clienti dell’Orto Salewa. Egon Heiss ha procurato anche il fertilizzante organico, indispensabile per la coltivazione sostenibile del terreno insieme al compost fornito gratuitamente da Bioenergia Trentino. E non è finita. Gli attrezzi per l’orto sono stati messi a disposizione dal Consorzio agrario di Bolzano, depositati in un container offerto dalla ditta Niederstätter, mentre le piante sono state donate dal Gardencenter Biasion.

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E così a partire da luglio, ogni giovedì dalle 18 alle 19 sarà possibile per chiunque lo desideri portare a casa i prodotti dell’orto Salewa facendo una piccola offerta destinata ai giovani coltivatori. «Per i migranti – spiega Stefanie Völser – sarà un’occasione di socializzazione, esercitandosi anche nella lingua». Lamin Manjang, 21 anni, originario del Gambia, dopo aver lasciato il paese d’origine in cerca di migliori condizioni di vita è arrivato a Bolzano due anni fa: ospitato prima nel centro profughi di via Macello, ora, assieme ad altri cinque migranti, dorme su un materassino all’interno della Chiesta Luterana di via Col di Lana. «Forse – racconta – si comincia a vedere la luce in fondo al tunnel: adesso abbiamo qualcosa da fare».

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