"Office Royale": la battaglia tra le gang delle impiegate è una satira del Giappone lavorista

In Giappone le chiamano “OL”, “office lady”: sono le impiegate che, rigorosamente vestite in sobria divisa aziendale, animano i grandi open space dei palazzi per uffici di Tokyo. Sono anche dei personaggi ricorrenti che popolano l’immaginario del paese del sol levante, e che nel film Office Royale (titolo originale Jigoku no Hanazono, opera prima di Seki Kazuaki, Giappone, 2021, 103’) diventano insospettabili protagoniste di una commedia dalle tinte forti. Insospettabili e disciplinate nella loro routine fatta di mansioni al computer, chiacchiere annoiate alla macchinetta del caffè e pause pranzo tra colleghe, appena girato l’angolo si sfidano in duelli di arti marziali senza esclusioni di colpi.

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In questo film in concorso al Far East Film Festival 23 di Udine, dove ha avuto la sua international premiere, la violenza assume le tinte pop dell’iperbole ironica e flirta con l’estetica trash. La lotta per la supremazia tra le gang pervade l’apparentemente quieta ruoutine della corporation Mitsufuji, dove dominano i codici delle bande di strada: divise, nomi in codice e gerarchie sancite dalla supremazia fisica unico criterio per stabilire le relazioni di obbedienza. Elementi che, trasposti nei quartieri direzionali di Tokyo, si fanno metafora e satira pungente del linguaggio aziendalista e dell’etica iper-lavorista imperante nell’arcipelago asiatico.

Office Royale

Il capitalismo ci insegna a competere con il vicino di scrivania per compiere la scalata al successo? Bene, sembrano dirci il regista Seki Kazuaki e lo sceneggiatore, il comico Bakarhythm, prendiamo sul serio questa ideologia carrierista e facciamone una questione di vita o di morte. La protagonista Tanaka Naoko (interpretata da Nagano Mei) è una timida impiegata che sta alla larga dalle zuffe delle yanki – le colleghe delle gang – finché non fa amicizia con Shuri (interpretata dall’attrice Nanao) che nasconte un talento quasi soprannaturale per la lotta. Il seguito non lo riveliamo,  ma l’intreccio metterà a soqquadro le apparenze.

A dare un ulteriore livello di ironia al racconto sono i continui riferimenti meta-narrativi al mondo dei manga e ai meccanismi stereotipati che regolarno il racconto. «Sono solo un personaggio secondario» si dispera Shuri dopo uno degli improbabili colpi di scena. Frase topica: «Che cosa sei?», chiede l’attonita avversaria sfigurata da un combattimento nel cortile aziendale. La risposta? «Un’impiegata».

Giulio Todescan

Foto: Far East Film Festival

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