Obama, lo spettacolo africano
«Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (La società dello spettacolo, Guy Debord, 1967)
Sei giorni, 144 ore di diretta, uno spettacolo da record, la settimana scorsa abbiamo assistito ad uno spettacolo globale, andato in onda su radio, TV, giornali e internet, miliardi gli spettatori. Il viaggio di Obama in Africa è stato uno spettacolo scintillante. Lo so, tutti hanno scritto qualcosa sul viaggio di Obama e in questo sono complice dichiarato e consapevole del meccanismo che ruota intorno al Presidente degli Stati Uniti. A mia discolpa posso dire che Obama è passato davvero vicino a dove vivo al momento, circa 70 chilometri, quindi la “febbre Obama” ha colpito anche la Tanzania.
Perchè sostengo che tutto è spettacolo? Perchè quello che ci fanno vedere è il primo afro-americano eletto Presidente degli Stati Uniti in visita in Africa, terra d’origine del papà*.
Quello che si sa sono quanti aerei hanno accompagnato il presidente, con tanto di auto portate dagli Stati Uniti, ogni giorno prime pagine e pagine interne tappezzate di foto di Obama e famiglia che scendono e salgono scaltte di aerei, accarezzano e tengono in braccio bambini e palleggiano con palloni da calico futuristici in grado di accumlare energia e ricaricare un telefonino. A che il presidente Tanzaniano Kikwete partecipa allo show, versando qualche lacrima di contentezza nel momento dei saluti al pari grado Americano. Lacrime prontamente immortalate e pubblicate sul quotidiano più vicino al partito del presidente: Jambo Leo.
Sicuramente quello di Obama non è turismo di lusso, ma un viaggio d’affari mascherato con alcuni eventi sociali come la visita a Robben Island, luogo di prigionia di Mandela, o al cimitero delle vittime dell’attentato all’ambasciata Americana in Tanzania nel 1998. Due-tre ore al giorno della famiglia Obama riempono ogni spazio su radio, TV e giornali, i momenti che contano, ovvero gli accordi, le trattative, portate avanti dal suo “team”scompaiono nel silenzio assoluto e sfuggono all’analisi di tutti i media, braccia complici di un sistema raffinato fatto per spettacolarizzare, distrarre e manipolare.
Quello che non vediamo è un presidente statunitense che va in Africa per promuovere le multinazionali americane e, con i suoi soldi e mezzi, con la sua retorica brillante e credibilità, nonchè con l’aura mediatica ed il fascino del primo president afro-americano. Quello che non sappaimo è che l’intera visita è stata organizzata nei minimi dettagli dal governo Tanzaniano che si è assicurato di distribuire magliette, cappellini e bandierine (ma forse anche cibo e soldi) e disporre ad arte centinaia di persone lungo il percorso del presidente Americano. Quello che non vediamo è che per accogliere un presidente straniero sono stati piazzati in tutta Dar es Salaam centinaia manifesti enormi con la foto di Obama e la scritta Karibu, “benvenuto”. Quello di cui non si parla sono i soldi spesi per pulire la strade dove sarebbe passato il presidente Americano. Quello che i media non dicono è che centinaia di venditori ambulanti di strada, chiamati “marching guys” (ragazzi che marciano) hanno perso 3 giorni di lavoro perchè è stato loro vietato di svolgere la propria attività nelle aree della città dove si trovava Obama. I marching guys guadagnano circa 2-3 euro al giorno, perciò perdere una giornata di lavoro significa per loro non mangiare. Quello che non viene detto è che molti negozi sono stati chiusi forzatamente per dare al presidente Americano un’apparenza di ordine e pulizia. Quello che non si sa è che decine di mendicanti sono stati “arrestati temporaneamente” per la durata del soggiorno di Obama per evitare che fossero in giro per la città a chiedere l’elemosina. In un paese che non ha soldi per pagare dottori, infermiere, insegnati o per comprare le medicine negli ospedali o i libri nelle scuole per i propri cittadini questo spreco di fondi pubblici e mezzi è inconcepibile e raccapricciante.
Lo show della visita di Obama in Africa è una spessa cortina di fumo che porta a non parlare delle vere ragioni del suo viaggio che sono le stesse di qualsiasi capo di stato in visita all’estero: promuovere gli interessi del proprio paese in Africa. Certo, ci sono gli aiuti allo sviluppo ma nessun governo è altruista, specialmente di questi tempi, per ogni dollaro investito in Africa ne devono tornare almeno 2, 5, 10 o più sotto altre forme; è un colonialismo raffinato, sottile, invisibile ma deleterio, oscuro e oppressivo. Il viaggio di Obama in Africa è costato circa 100 milioni di dollari, un simile investimento sommato agli aiuti umanitari provenienti dagli USA è accettabile solo se risulta in un vantaggio economico alla nazione Americana superiore alla cifra investita.
Aveva ragione Guy Debord, me ne rendo sempre più conto, soprattutto quando mi trovo ad assistere, a consumare, eventi come quello della visita di Obama in Africa. Credo fermamente che tutto ciò che viene trasmesso dai media sia spettacolo, di conseguenza credo anche che quello che vediamo e sentiamo non sia la realtà. Putroppo di questa seconda parte della frase, non sempre ce ne rendiamo totalmente conto.
Una volta si commerciavano collanine, vetri colorati o manufatti privi di valore in cambio di avorio, pietre preziose, minerali o uomini, ora si baratta qualche miliardo di aiuti in cambio di politiche favorevoli agli Stati Uniti, trattati commerciali che portano vantaggi alle elite ma che derubano della sovranità il popolo, il quale non ha nessun controllo (tranne le elezioni ogni 5 anni, ma anche su questo ci sarebbe poi molto da dire) sulle proprie risorse naturali. Per prima, la terra, con migliaia di pastori masai sfrattati per far posto agli emiri arabi, ma anche i contadini sfrattati, per produrre carburante, zucchero ed energia. I tanzaniani non hano controllo nemmeno su altre risorse come l’acqua o il gas naturale prelevato a Mtwara, nel sud, e portato a Dar es Salaam senza una minima ricaduta di sviluppo sulle popolazioni locali; oppure sull’uranio per cui si sta costruendo una strada che da Songea lo porterà verso l’Oceano e verso la Cina o l’Australia, seguendo quelle stesse rotte che un volta portavano gli schiavi al mare. Poco controllo del popolo anche sui minerali, come l’oro, estratto nella regione di Mara, dove le miniere di proprietà della compagnia canadese Barrick inquinano ruscelli e fiumi e uccidono persone e animali. Al commercio di minerali seguiranno gli uomini, obbigati a lasciare le campagne dove le condizioni di vita non permettono né le loro attività tradizionali nè nuove attività lavorative. I giovani, dalle campagne si riversano nelle città, naufraghi urbani delle sviluppo al servizio di un nuovo sfruttamento come parcheggiattori, donne di servizio, prostitute oppure spazzini per tenere pulite le strade dove passerà Obama.
Gli interessi ed il benessere superfluo degli americani, europei e asiatici sono un capestro che pesa sull’Africa, a sua volta dominata da un’elite politico-economica di poche famiglie ricche e potenti. Un’ elite che vive sfruttando in maniera parassitica una massa di naufraghi dello sviluppo, una massa di esclusi che sopravvivono guidando pulmini 14 ore al giorno, zappando le terre residue e meno fertili, friggendo patatine o qualsiasi cosa i loro vicini di casa siano in grado di comprare per qualche manciata di centesimi di euro. Quella tanzaniana è un’economia soffocata, sbilanciata, controversa, dove coesistono nuovi centri commerciali luccicanti, potenti auto di lusso e capanne di fango, spianate di immondizia, fogne puzzolenti e miseria umana.
La spogliazione dell’Africa è reale ed in continuo aumento, ma non cadiamo nell’errore di considerare gli africani dei sempliciotti, sprovveduti e sostanzialmente ingenui. I governi europei riescono a mietere alti profitti e firmare contratti a loro vantaggio perchè c’è una classe politica corrotta ed un’elite economica autoctona avida che permette anzi, incoraggia tutto questo. L’elite Africana si ingrassa e si rinforza attraverso questo meccanismo di scambio reciproco di favori con le controparti europee, americane ed asiatiche. A perdere, sempre gli stessi, gli ultimi, gli emarginati, i naufraghi di questo sviluppo che affama ed asseta invece che sfamare e dissetare.
Stefano Battain
Di Stefano leggi anche: L’Africa ha il cellulare in mano
Le mani della Cina sulla spiaggia di Bagamoyo
* Barak Obama Senior: il padre del presidente Americano era un economista kenyano (tribù Luo) che ebbe un matrimonio di 3 anni con la mamma di Barack Hussein ma che non ha quasi mai vissuto con il figlio. Il padre è morto in Kenya, per un incidente stradale nel 1982, povero e malato, dopo essere stato marginalizzato anche a causa di divergenze politiche col Presidente keniano Jomo Kenyatta.