Estradato dalla Malesia all’Arabia Saudita. Noi, complici inconsapevoli del boia
Quando in questo freddo inverno italiano vi recate al lavoro il mattino, in coda in auto ai semafori brillanti dei cristalli del ghiaccio si è formato nella notte, forse non vi rendete conto di essere complici dell’assassinio di varie persone nate nei Paesi dove è stato estratto il petrolio dal quale è stato distillato il carburante che muove i vostri motori.
Probabilmente nel caso italiano la complicità è solo lieve: secondo Marzio Galeotti, professore di Economia dell’ambiente e dell’energia presso l’Università degli studi di Milano e direttore del centro di ricerca sull’economia e la politica dell’energia e dell’ambiente (IEFE) dell’Università Luigi Bocconi, l’Italia importa dall’Arabia Saudita appena il 5% del suo fabbisogno petrolifero, e il 12% dall’Iran.
Cosa c’entrano l’inverno italiano, queste statistiche, l’Arabia Saudita e l’Iran con il blog “Singapore, il volo del Leone”?
E’ presto detto: lo Stato che vedo dalle finestre di casa mia oltre gli alberi e il canale, è la Malesia, ovvero lo stato che ha espulso ieri un giovane giornalista saudita ricercato nel suo paese natale per dei post su Twitter sul profeta Maometto. Hamza Kashgari, questo il suo nome, è stato arrestato giovedì 9 Febbraio mattina in transito a Kuala Lumpur mentre si dirigeva verso la Nuova Zelanda per chiedere asilo politico. Il ministero degli interni malesiano ha detto in una dichiarazione ufficiale che Kashgari, ventitreenne di Jeddah, è stato deportato dalla Malesia questa domenica sotto la custodia di funzionari sauditi.
Di cosa viene accusato? Kashgari aveva scritto su twitter i seguenti tre versi:
Il giorno del tuo compleanno dirò che ho amato il ribelle in te, che mi ha sempre ispirato. Ma non mi piaceva l’aura di santità, non ti darò la mia benedizione
Il giorno del tuo compleanno, ti vedo nel mio volto ovunque io mi giri. Diro’ che io ho amato alcune cose in te, odiato altre, e non ho capito molte altre cose.
Il giorno del tuo compleanno, non m’inchinerò a te. Non ti bacerò le mani. Stringerò la tua mano come quella di uno uguale a me, e ti sorriderò come tu sorridi a me e ti parlerò come ad un amico, nulla di più
Questi versi sono stati considerati un insulto al profeta Maometto, alimentando un’ondata d’indignazione nel Regno Saudita, dove la blasfemia è un crimine punibile con la pena di morte. In Malesia, Paese relativamente tollerante e multietnico, produttore di petrolio e dotato di un sistema parlamentare fatto a immagine di quello britannico, non è così: quindi aver concesso l’estradizione ha il significato di approre di un modo di pensare come quello saudita.
Amnesty International e Human Rights Watch avevano esortato la Malesia a non estradare Kashgari, poiché questo significa mandarlo quasi a morte sicura per aver scritto quelle parole!
Si sa poi che la giustizia nel Regno Saudita segue regole inconsuete. Ad esempio nulla è stato fatto per individuare i responsabili delle gravi inondazioni successe a Jeddah (ironicamente durante il pellegrinaggio a fine novembre dello scorso anno), che hanno ucciso almeno 123 persone, la maggior parte dei quali lavoratori ospiti stranieri che vivono in “baraccopoli” costruite illegalmente nelle aree esterne alla città. Un articolo pubblicato dal giornale di Abu Dhabi “ The National”, in lingua inglese ha riferito che le inondazioni a Jeddah hanno anche causato un grave problema di fuoriuscita di liquami fognari traboccanti dai bacini di decantazione.
Davvero interessante come, in un mare di cacca, la priorità giudiziaria sia concentrata su un giovane di ventitré anni per i suoi versi.
Così, sebbene Muhammad Afiq Mohamad Nor, l’ avvocato nominato dalla famiglia Kashgari, abbia detto che la deportazione era illegittima in quanto aveva ottenuto un ordine del tribunale per bloccarla, il giovane è stato fatto partire dalla Malesia sotto le forti pressioni del regime saudita. Nella dichiarazione pilatesca del ministero degli interni malesiano si diceva che: “La Malesia ha una lunga tradizione in base alla quale gli individui ricercati da un paese terzo sono estradati, e Mohammad Najeeb A. Hamza Kashgari sarà rimpatriato nell’ambito di tale accordo. La natura delle accuse contro l’individuo in questo caso è di competenza delle autorità saudite siccome è una questione interna saudita.” La Malesia ha sviluppato nei tempi più recenti una stretta affinità con molte nazioni del Medio Oriente attraverso la comune religione, sebbene la forma wahabita dell’Islam, caratteristica dell’Arabia Saudita, sia stata sconosciuta qui nel passato, quando le donne indossavano più il sarong kebaya, che ne rivelava la femminilità, piuttosto che il velo.
Chierici e abitanti del regno saudita hanno chiesto la morte per Kashgari. C’e’ il timore di avere un altro Salman Rushdie rimanga impunito. Secondo Iyad El-Baghdadi, un autore e blogger con sede a Dubai, Kashgari e il tumulto che hanno generato possono “diventare un ‘opportunità di lotta tra il campo ultraconservatore e il campo liberale in Arabia Saudita “. Kashgari, che aveva inizialmente chiesto scusa per i suoi commenti, ha detto in un’intervista di essere stato fatto un “capro espiatorio di un conflitto più grande” sui suoi commenti.
Come avviene la decapitazione per apostasia? Il governo saudita dice che la punizione è sancita dalla tradizione islamica. Decapitazioni ordinate dallo Stato sono eseguite in cortili fuori dalle moschee affollate nelle principali città dopo la settimana di preghiera del venerdì. Un detenuto condannato è portato nel cortile, le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, che oscilla una spada enorme in mezzo a grida di spettatori di “Allahu Akbar!” (che in arabo significa “Dio è grande”).
Qisas – che nel regno saudita potrebbe significare decapitazione o l’amputazione degli arti- è un grande spettacolo pubblico simile a quelli che avvenivano in Europa nel medioevo. In Arabia Saudita, uno degli ultimi luoghi sulla terra dove la pena capitale è uno spettacolo pubblico, la decapitazione colpisce gli assassini, e prevale anche per molti altri reati, come rapina a mano armata, stupro, adulterio, l’uso e il traffico di droghe, e l’apostasia. Una donna finì nel braccio della morte per stregoneria, accusa in parte fondata sulla denuncia di un uomo che era persuaso di essere diventato impotente grazie ad un incantesimo della donna. L’Arabia Saudita ha eseguito 1.750 condanne a morte tra il 1985 e il 2008, ma le informazioni attendibili sono scarse. Non esistendo un codice penale scritto, le questioni d’illegalità dipendono dalle interpretazioni di polizia e giudici.
Come in una favola medievale, in qualsiasi momento fino al colpo della spada, la famiglia della vittima può perdonare il condannato – di solito per un pagamento in contanti di almeno due milioni di riyal dal detenuto o della sua famiglia. Nei rari casi politicamente sensibili, il re Abdullah concede la grazia.
E cosa pensa il boia piu’ “gettonato” dell’Arabia Saudita, MUHAMMAD AL-SAAD Beshi?
Su un articolo di Arab News, del 5 giugno 2003, dichiarò: “Sono molto orgoglioso di fare il lavoro di Dio … Nessuno ha paura di me. Ho un sacco di parenti, e molti amici della moschea, e vivo una vita normale come tutti gli altri … Ho a che fare con la mia famiglia con gentilezza e amore. Non hanno paura quando torno da una esecuzione. A volte mi aiutano a pulire la mia spada … E ‘un dono da parte del governo. Mi occupo di affilarla e di tanto in tanto, e mi assicuro di pulirla dalle tracce di sangue.“
Tracce di sangue che voi, in coda al mattino per andare al lavoro, fortunatamente non riuscite a vedere.
di Giovanni LOMBARDO – Singapore, 13 Febbraio 2012