No Man's Land #2: La speranza di Amal
Esattamente un anno fa, ho seguito un gruppo che dopo gli esami di terza media si preparava per apprendistati e scuole superiori serali. In quel gruppo mi aveva molto colpito Amal. Ogni volta che chiedevo se qualcuno volesse leggere o condividere delle riflessioni lei interveniva, aveva voglia di mettersi alla prova e sperimentare sempre cose nuove. Era precisa e puntuale sui compiti, anche se li faceva con il cellulare perché recuperare un computer era difficile. Aveva solo una richiesta: di ricevere i documenti in PDF per poterli aprire, poi scriveva tutto a mano e mi rispediva le foto con gli esercizi fatti.
Finalmente dopo il primo lockdown, ci siamo potuti rivedere in aula. Quel giorno avevamo un’ora di orientamento sulle scelte lavorative e le ho chiesto quali erano i suoi piani, che progetti avesse.
Ho sempre pensato che fosse molto seguita dai genitori perché Amal, per una ventenne, mostrava molta serietà e impegno. Con la sua solita foga aveva iniziato a raccontare, di come in realtà lavorasse già da un po’ di tempo presso un’associazione a Vienna come interprete di aramaico. Poi aveva deciso di finire la licenza media e si era iscritta a questo corso, così aveva ceduto alcune ore ad un’amica che doveva lavorare. In quel momento, per lei non c’erano più tante ore, ma il lavoro da interprete la stancava, le storie che sentiva erano spesso tristi e i soldi pochi. Aveva mandato già tante candidature per un apprendistato in farmacia ma ancora nessuna risposta. Lei invece aveva bisogno di risposte veloci e concrete. Poi all’improvviso il suo viso, sempre così solare e vivace si incupì ed iniziò a piangere. Ci raccontò che lei è la più grande della famiglia ed è lei che deve badare ai suoi cinque fratelli piccoli rimasti da soli in Etiopia, perché entrambi i genitori erano morti. Avrebbe voluto studiare e sapeva che a vent’anni poteva fare ancora molto ma sentiva la pressione anche da parte dei fratelli che avevano riposto in lei tutte le loro aspettative e speranze. Sapeva che ogni sua decisione ricadeva su tutti gli altri. Forse si aspettavano anche un aiuto economico, e non sapeva come spiegargli che lei stessa faceva fatica ad arrivare a fine mese. Poi si calmò continuando a muovere le mani, si asciugò gli occhi, questi occhi sempre attenti a non farsi sfuggire nulla, e sorrise. Sapeva di essere molto in gamba e che ce la poteva fare, sapeva anche che era sola in questa sua battaglia di sopravvivenza per sé e per tutta la famiglia, aveva solo bisogno di un po’ più di tempo e di un apprendistato.
A questo punto le avrei voluto chiedere come era arrivata a Vienna da sola, ma ho evitato. Dietro a queste piccole donne si nascondono spesso grandi storie di dolore e sofferenza. Molte delle mie alunne provenienti dall’Africa, e non rivelo nessuna novità, hanno percorso interi paesi a piedi, attraversando deserti e finendo nelle mani di stupratori e trafficanti.
Se non ci avesse raccontato la sua storia e se non sapessi dai racconti di altre sue coetanee ciò che si nasconde dietro ai loro sorrisi malinconici, avrei pensato di essere in un normale corso di lingua. Poi però quando condividono il loro vissuto, come aveva fatto Amal, mi rendo conto ancora una volta di quanto sia cruda la realtà in certe parti del mondo. A volte per proteggermi lo dimentico, Amal, che in arabo vuol dire speranza, invece ci doveva convivere con questa realtà. Come poteva lei sfuggire alle proprie sofferenze e ricordi.
Sono molto affascinata dai miei studenti e con quanta voracità vogliono realizzare il tanto bramato sogno di farcela in Europa. L’Europa che sta per una vita migliore, per una vita più sicura e in alcuni casi semplicemente per una vita.
Azra Fetahovic
Azra Fetahovic, nata in Montenegro e vissuta a Sarajevo fino al 1992. Si trasferisce in Alto Adige/ Sudtirolo dove per alcuni anni lavora come insegnante di tedesco nella scuola media. Dal 2017 vive e lavora a Vienna come insegnante di lingua per richiedenti asilo politico e accompagna adolescenti alla conclusione dell’istruzione obbligatoria.