New York, 11 settembre: "Remember to love"

La si vede subito, usciti dalla metropolitana di Fulton Street, in Downtwon Manhattan, moderna piramide ancora in costruzione  e che già sale al cielo. Eppure, tra le tante torri, non sempra la più alta nè la più importante. Sembra un cantiere come altri, però avvicinandosi si allarga, prende un intero isolato. Poi, basta guardare le persone. I newyorkesi che camminano sempre veloci, sembrano rallentare. I turisti stanno seduti silenziosi su una scalinata, si abbracciano, guardano in alto, fanno foto. Il rumore dei lavori, delle macchine, di un elicottero che sorveglia dall’alto, continua costante. Le persone abbassano il tono di voce. E guardano su, il cantiere. Là, dove dieci anni fa spiccavano le Torri Gemelle.

Foto di Alessia Pirolo

C’è solo un poliziotto davanti alla scalinata dei turisti. Eppure venerdì mattina quando mi sono svegliata ho trovato una mail di mio suocero, indirizzata a me, mio marito e i suoi due  fratelli. “Per favore fate attenzione, tenete sempre i cellulari carichi e state lontani da Midtown e Downtown. Valutate di andare via da Manhattan domenica. Ve lo direi anche se non ci fossero state le nuove minacce contro New York e Washington”.
E’ arrivata giovedì sera la notizia che le due città sono a rischio attentato, l’anniversario è nel mirino. Ma, a parte i titoli neri dei quotidiani, Dowtown Manhattan sembra andare avanti come sempre. Proprio giovedì, a cena, il fratello di mio marito raccontava che nella cittadina fuori New York dove la loro famiglia vive, in tanti lavoravano nel Financial District. In tanti non tornarono a casa. Per giorni, sentirono le sirene dei pompieri e della polizia che partivano per dare aiuto. Per giorni ci fu silenzio, incertezza, smarrimento. Quasi si soprende che anche io, che stavo ad un oceano di distanza, ho quello stesso ricordo.
Forse lo abbiamo tutti. C’è una coppia di vicentini a scattare foto al cantiere del World Trade Center. “Ero tornata a casa dal lavoro e mio marito mi ha telefonato dicendo quello che era successo”, ricorda  Maria Grazia Del Santo, mentre la guida snocciola numeri: furono sette gli edifici a crollare, la torre che ora è arrivata all’80esimo piano di 104 sarà la più alta degli Stati Uniti, dovrebbe essere pronta nel 2013. La prima volta a New York di Maria Grazia e del marito Gianni coincide con l’anniversario, per caso, dicono. “Certo fa venire la pelle d’oca essere qui proprio adesso”, prosegue lei. Lui non stacca l’occhio dalla telecamera, percorrendo il memoriale dei pompieri caduti e poi su, verso la torre.

Avrebbe dovuto realizzarla l’architetto Daniel Libeskind, ma il progetto, all’inizio approvato, fu poi cambiato in corsa. Un memoriale per i caduti Libeskind l’ha realizzato, a Padova, strani cerchi del caso. È il monumento “Memoria e Luce” dove è conservata la trave di una delle torri. Due mesi fa, la settimana del matrimonio tra me, padovana, e mio marito, newyorkese, dopo il classico giro turistico Piazze-Prato-Cappella è sembrato inevitabile portare lì la sua famiglia, per la prima volta in città. Siamo restati in silenzio davanti al monumento che non ho saputo spiegare perchè sorga proprio a Padova. Senza sapere se una spiegazione davvero serva.
Da lunedì,  New York avrà il suo memoriale ufficiale aperto al pubblico, due fontane quadrate là dove erano le torri, con la lista dei nomi delle 2.819 vittime. Il museo aprirà l’anno prossimo. Intanto, c`è un Tribute WTC Visitor Centre che mette insieme ricordi e souvenir. Romolo e Susanna Gastaldi, residenti Lecco, e con famiglia a Castelfranco Veneto, stanno in coda. “Volevamo venire a vedere a che punto era la costruzione, eravamo qui a New York in questi giorni e volevamo vedere l’aria che si respira”. Nel negozio del museo temporaneo e nella bottega a fianco si trovano libri in memoria, palle di vetro con le silouette delle torri, dollari finti con l’effige di Obama e il calendario dei pompieri per il 2012. Per lo meno, non ci sono più le schiere di venditori ambulanti che ti piazzavano sotto il naso libri fotografici. “Per soli 20 dollari, o 15, o 10”. Il lavoro andava bene, era una professione da consigliare, mi garantì uno di loro con cui chiacchierai nell’estate del 2009, quando mi ero appena trasferita a New York. Non avevo ancora incominciato il master per cui ero venuta qui dove, tra l’altro, avrei conosciuto quello che è oggi mio marito.
Ricordo che allora, come oggi, entrai nella chiesetta di St. Paul, proprio sotto le torri, che dieci anni fa fu uno dei primi centri d’accoglienza e dove poi per mesi i newyorkesi portarono volantini con  le foto di parenti e amici dispersi. In parte ci sono ancora su un altare coperto di santini, biglietti, braccialetti, auguri di 40esimo compleanno a qualcuno che ai 40 non arrivò mai, un orsetto, bandierine. C’è la foto di un bimbo di tre anni, David. Dovrebbe essere quasi adolescente, ma era con i genitori nell’aereo 175 della United Airlines Flight che alle 9.03 dell’11 settembre 2001, entrò nella seconda torre, diciasette minuti dopo che l’aereo 11 dell’America Airlines Flight si era schiantato sulla prima. Era pomeriggio a Padova. Ero a casa a studiare per il test d’ingresso all’università, fissato per il giorno dopo. Chiamò mio padre. Io, mia madre e mie sorelle accendemmo la televisione. Ricordo la diretta di quel secondo aereo che entrava nella torre. Nella chiesa di St.Paul, questo fine settimana danno cordoncini bianchi su cui i visitatori sono invitati a scrivere un messaggio per i parenti delle vittime da lasciare legato sulla cancellata della chiesa. Su tutti è stampata una scritta “Rember to love”. Qualcuno si è limitato a tradurre la frase in italiano: “Ricordate di amare”.

Alessia Pirolo

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