Alpi, "condizioni ottimali per la sciabilità": la nota (stonata) delle regioni e la rimozione del riscaldamento globale

Ha qualcosa di stonato la nota congiunta che gli assessori di tutte le regioni alpine italiane si sono sentiti in dovere di diramare alla stampa l’11 gennaio 2023. Fin dal titolo: «Alpi italiane. Condizioni ottimali per la sciabilità e il turismo invernale». E poi nel contenuto: cinque paragrafi fitti, scritti con lo stile solenne che solitamente si riserva a ben altri contesti. Il tono è quello di un bollettino di guerra scritto per sollevare il morale delle truppe. Una retorica che cozza con il contenuto: si parla infatti della stagione turistica invernale, di piste da sci, qualità della neve, insomma delle settimane bianche degli italiani (quelli che ancora possono permettersele nonostante l’inflazione galoppante).

Ma a cosa si deve tanta ansia di mobilitazione? Forse la “guerra” è contro un nemico che non viene nominato, ma ha un nome, riscaldamento globale. E assomiglia tanto a quella di Don Chisciotte contro i mulini a vento.

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«Gli assessori delle regioni alpine italiane, con delega agli impianti di risalita, si sono confrontati oggi relativamente all’attuale contesto turistico invernale – esordisce il comunicato –. Archiviate con la piena soddisfazione degli operatori le festività di Natale e Capodanno è emersa unanime tra gli amministratori la fiducia per il proseguo di una stagione invernale finalmente senza alcun tipo di restrizioni e iniziata sotto i migliori auspici».

«Da parte di tutti è stato, infatti – si legge ancora –, sottolineato come il prodotto alpino italiano sia oggi nelle condizioni ambientali ottimali per offrire una vacanza legata allo sci di qualità. Grazie, infatti, alle nevicate di metà dicembre e all’ottimo lavoro svolto dagli addetti delle società impiantiste nella preparazione delle piste, le temperature sopra la media stagionale registrate nelle scorse settimane non hanno compromesso le condizioni di sciabilità dei comprensori dell’arco alpino italiano».

La notizia che non c’è (o forse sì)

Ma perché questa riunione, e perché questa nota? Solitamente un comunicato stampa è giustificato dalla necessità, da parte di un ente, di dare ai giornalisti una notizia. In questo caso, la notizia apparentemente non c’è: non un numero, un provvedimento, un progetto. E così il comunicato stesso si fa notizia: l’obiettivo sembra quello di mandare un segnale di appoggio incondizionato della politica al mondo economico che ruota attorno agli impianti di risalita.

Un settore, intendiamoci, importante, che per decenni ha permesso a intere vallate montane di vivere, arricchirsi e limitare lo spopolamento. Ma non si può far finta di non vedere che si tratta di un modello non più sostenibile, perché di neve ne cade sempre meno e dura sempre meno, a causa delle temperature sempre più alte del pianeta. E il rimedio proposto – innevamento artificiale – consuma risorse energetiche e idriche e in ultima analisi contribuisce a quelle emissioni che sono causa del riscaldamento globale, e che sono aggravate dal traffico generato dal turismo di massa che si riversa sulle piste. Il classico cane che si morde la coda.

Lo specchio dell’Appennino

C’è un altro obiettivo di questa nota e lo si scopre mettendolo in relazione a quanto accade sulla sponda sul della valle padana: sugli Appennini, a differenza che sulle Alpi, la neve quest’inverno non c’è, gli impianti sono in ginocchio. Per affrontare la crisi e chiedere aiuti al settore, gli assessori delle regioni appenniniche hanno chiesto udienza alla ministra del turismo Daniela Santanché.

Letta in questa relazione, la nota degli assessori alpini suona come una risposta: “se l’Appennino è verde, le Alpi sono bianche, venite a sciare da noi”, sembrano dire le regioni del Nord. Che non a caso chiudono il loro bollettino con un appello alla ministra del turismo, chiedendo risorse per «interventi per i bacini per l’innevamento artificiale, che risultano fondamentali per assicurare la continuità e lo sviluppo del turismo invernale nelle località interessate».

Mai così poca neve negli ultimi 600 anni

L’attuale modello ha fame di nuovi investimenti, cantieri, consumi ed emissioni, per reggere ancora. Ma per quanto tempo può farlo? Nessuno spazio nelle dichiarazioni degli assessori – delle Alpi né degli Appennini, va detto – per progetti di ripensamento del modello verso un turismo lento, con minor impatto ambientale. Nessuna strategia di “adattamento al cambiamento climatico” che pure sarebbe l’Abc – insieme alla “mitigazione delle emissioni” – di tutte le strategie internazionali e nazionali, a partire dal piano Next Generation EU.

Sulle Alpi non c’è mai stata così poca neve negli ultimi 600 anni, ha rilevato una ricerca condotta dall’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna, pubblicata sulla rivista Nature climate change in questi giorni. Nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso si è accorciata di oltre un mese. La strage della Marmolada di quest’estate, provocata dal distacco di un enorme seracco da un ghiacciaio che in un secolo ha perso il 90% del suo volume, sembra già dimenticata. L’Appennino di oggi è lo specchio delle Alpi di domani. Ma non ditelo agli assessori.

Giulio Todescan

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