Monaci, fucili e poeti (sulle tracce di Gibran)

Nella difficile impresa di sfuggire all’afa estiva di Beirut e della costa, da qualche settimana ho iniziato ad esplorare a fondo montagne, vallate e villaggi dell’entroterra libanese.

Le ridotte dimensioni del paese rendono piuttosto facili queste escursioni: il Libano si può percorrere da nord a sud, traffico permettendo, in non più di 3-4 ore.

Una delle mie prime mete è stata la Valle di Qadisha, nel nord. Si tratta di una profonda gola di circa 70 km di lunghezza, scavata da un torrente che la taglia in due e coperta da una folta e rigogliosa vegetazione che la rendono, oltre che bellissima, molto fresca in estate.

E’ uno dei luoghi simbolicamente più importanti del Libano, e di tutto il Medio Oriente. Viene considerata la vera culla del cristianesimo maronita, che pur non essendo nato qui, ha qui trovato il suo rifugio più sicuro: difesa naturalmente da montagne imponenti, la valle di Qadisha ha dato rifugio ai monaci fin da tempi molto remoti, precedenti l’anno Mille.

Tutta la valle è disseminata di antichi e bellissimi monasteri. Alcuni sono semplici grotte scavate nella roccia che emanano spiritualità ed ascetismo, altri veri simboli di ricchezza ed operosità, circondati da terreni terrazzati, frutteti e piccole fattorie.

In questo scenario fuori dal tempo ho camminato per tutto il giorno, incontrando pochissima gente nel sentiero che si inerpica per i pendii scoscesi della valle.

Ormai però ho imparato che in Libano tutto si mescola, si contraddice e si rivela solo dopo osservazioni più accurate. Proprio all’inizio della valle, sotto le montagne,  Bcharre, una piccola cittadina, sembra appesa ad un versante e sospesa sul ripido pendio. Questa, che in qualche guida turistica potrebbe chiamarsi “ridente località”, è il bastione delle Lebanese Forces, ex milizia armata fondata da Bashir Gemayel e successivamente trasformata in partito politico presieduto da Samir Geagea, l’unico leader militare della guerra civile libanese che sia stato incarcerato (per 11 anni) per i crimini commessi durante il conflitto.

Insomma, quella religiosità impregnata di misticismo che si respira camminando nel fondovalle è in realtà protetta da una solida organizzazione para – militare che ne garantisce l’esistenza.

Ne ho avuto una prova la domenica mattina. All’ora della messa, nella piazza principale di Bcharre, il traffico era bloccato da decine di poliziotti armati di minacciosi fucili automatici, e sono riuscito ad intravedere quattro preti vestiti con lunghe tonache nere scendere con fare maestoso da 2 enormi Suv con i vetri oscurati ed infilarsi velocemente in chiesa.

Ma le soprese non sono finite. Bcharre è anche la città natale del più famoso poeta libanese, Kahlil Gibran, la cui opera “Il Profeta” è stata fonte di ispirazione per il movimento beat ed hippy, per artisti come John Lennon ed Allen Ginsberg tra gli altri. Anche se Gibran trascorse in realtà quasi tutta la sua vita tra gli Stati Uniti e l’Europa, volle farsi seppellire nel luogo in cui era nato, proprio in un antico monastero. Attualmente il monastero, scavato nella roccia come gli altri della valle, è stato trasformato in un mausoleo – museo.

Si percor rono le sale osservando vecchi oggetti di arredo e fotografie appartenute all’artista. La cosa più sorprendente sono però i quadri da lui dipinti, al di là del valore artistico.  Corpi di uomini e donne nude nel mezzo della natura, con riferimenti ad una visione della vita molto vicina ai movimenti che qualche decennio più tardi avrebbero assunto Gibran come punto di riferimento: unione con lo spirito della natura, abbandono ai sentimenti ed ai sensi, amore libero.

Un bel contrasto, in mezzo alle montagne del Libano, circondato da monasteri e fucili.

Francesco Pulejo

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