Mass Games in Corea del Nord
Una fiaba nel terribile regime dei Kim. Una storia di speranza e redenzione nel crudele regno di Kim Jong Un. Esce in questi giorni in libreria “Mass Games. Fuga dalla Corea del Nord” (Infinito edizioni), libro del padovano Daniele Zanon che And consiglia caldamente ai suoi lettori.
Shin-Jo ha quindici anni. È orfano, e vive in un centro di rieducazione da quando ne aveva sei. Sogna la libertà. Anche i gemelli Sung, tre giovani promesse del calcio, hanno un desiderio: scappare oltre il confine per diventare dei campioni. Infine c’è la figlia di un funzionario di un’agenzia internazionale, Sara, un misto tra Nigeria, Inghilterra e Corea del Sud. Hanno un piano preciso, avventuroso, quasi impossibile, e una notte, insieme, fuggono dalla loro “prigione”, proprio mentre il Paese è in lutto nazionale e si prepara a commemorare la morte del caro leader Kim Jong-il…
Mass Games. Fuga dalla Corea del Nord, patrocinato da Amnesty International, è un libro che parla di un viaggio, di avventura, di amicizia, ma non solo: è soprattutto una finestra su un Paese che non possiamo conoscere e per cui noi siamo degli sconosciuti. Dove la verità non esiste e la realtà è decisa da chi è al potere. Scrive Alex Zanardi nella prefazione:
Prima di leggere questa storia, nella mia mente, la Corea del Nord era un luogo estraneo. Mass Games mi ha preso e mi ha portato lì, nella vita dura di una casa di correzione immersa nel nulla, nella bellezza finta di Pyongyang, nelle campagne affamate da una carestia che dura da decenni.
Mass Games, l’introduzione di Luca Barbieri
Questa è invece l’introduzione al libro firmata da Luca Barbieri, direttore di And:
A una prima lettura Mass Games potrebbe quasi sembrarvi una favola. Con i suoi giovani eroi, la trama avvincente sospesa tra la dimensione del sogno e quella dell’avventura, il suo finale dolce-amaro. Eppure, librandosi in alto come una mongolfiera, facendo volare la fantasia del lettore, il romanzo di Daniele Zanon è al tempo stesso un affresco leggero quanto rigoroso e implacabile della Corea del Nord contemporanea. Disvelando subito, fin dall’inizio, l’inganno che si cela dietro gli spettacoli di massa, le parate, i pianti collettivi, tutti quegli elementi che spesso ci fanno pensare alla Corea del Nord come a una dittatura da operetta piuttosto che a un feroce regime.
Un meccanismo narrativo veloce e coinvolgente, capace di suscitare meraviglia, ci rivela la triste realtà: la crudeltà fatta sistema, l’egoismo dei singoli, l’ideologia totalizzante che tiene schiave le menti ancor prima che le membra. Ma mette anche in luce la fame di vita e di riscatto dei giovani. E’ ancora – e lo è solo in casi del tutto eccezionali – una salvezza al singolare : la redenzione collettiva della Corea del Nord rimane un miraggio. Quando qualcosa cambia (vedi Kim Jong-Un) è perché nulla cambi.
E’ la verosimiglianza del sottotesto una delle qualità intrinseche di Mass Games. Una verosimiglianza costruita consultando fonti, raccogliendo testimonianze di persone con esperienza diretta sul campo. E allora, prima di salire a bordo di Mass Games, due brevi flash.
Nel marzo 2013, in seguito all’analisi di nuove immagini satellitari del Paese, Amnesty International aveva individuato nuovi e sempre più estesi campi di prigionia. Enormi carceri a cielo aperto che stavano inglobando villaggi e porzioni sempre più estese di territorio. “Centinaia di migliaia di persone compresi bambini, – denuncia Amnesty International – sono detenute nei campi di prigionia politica e in altri centri di detenzione, sottoposte a violazioni dei diritti umani, come l’obbligo di svolgere lavori pesanti, il diniego del cibo come forma di punizione, la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o degradanti. Molte di esse non hanno commesso alcun reato, essendo unicamente legate a persone ritenute infedeli al regime e dunque sottoposte a una sorta di punizione collettiva…Nel famigerato campo di prigionia politica di Yodok, si ritiene siano detenute 50.000 persone, bambini e donne compresi. Secondo ex detenuti, a Yodok i prigionieri sono costretti a lavorare in condizioni equiparabili alla schiavitù e sono spesso sottoposti a torture e maltrattamenti. Nonostante queste prove schiaccianti, il governo della Corea del Nord continua a negare l’esistenza del campo”. A novembre 2013 è stata poi diffusa la notizia – non verificabile – dell’esecuzione di oltre ottanta condanne a morte. I reati? Aver visto la tv sudcoreana, possesso di una Bibbia, dissidenza. Ottanta esecuzioni non verificabili, ma verosimili.
La Corea del Nord assomiglia sempre più a una prigione a cielo aperto dove libertà di espressione, di movimento, di credo rimangono utopia. Per liberarla, al momento, non ci resta che la fantasia.