Marisela e la strage delle donne, vergogna del Messico
Il suo telefono è un cellulare statunintense. Conferma di essere costretta a vivere in quel Paese, ma non vuole assolutamente rivelarci la città in cui abita. Soprattutto da quando venerdì 2 dicembre qualcuno ha provato ad uccidere Norma Andrade, una co-militante della organizzazione “Nuestras Hijas de Regreso a Casa” (“le Nostre Figlie di Ritorno a Casa”).
Marisela Ortiz, fondatrice e presidente di NHRC, non si dè pace dopo l’ennesimo attacco contro il gruppo. La sua paura è ampiamente giustificata. Ortiz racconta a LatinoAmericando che Andrade è stata “quasi espulsa dall’ospedale per le minace ricevute dal personale sanitario”. Un amico di Andrade ha raccontato che si trova in una “casa de seguridad” (casa di sicurezza), con assistenza medica, finché possa ricuperarsi quanto basta per cambiare città.
“Nuestras hijas de regreso a casa” fu fondata nel 2001 da familiari e amici nello Stato di Chihuahua (regione alla quale appartiene Ciudad Juarez) che fronteggiano – ricordano nel loro statuto – “la situazione di perdita delle nostre figlie prendendo un’attitudine attiva che ci permetta di uscire dall’impotenza denunciando i diritti e esigendo alle autorità per rispondano alle nostre richieste de giustizia”.
“Oggi il contesto di violenza è diventato ancor più difficile – assicura Marisela Ortiz – e hanno ucciso diverse donne che difendono i diritti umani. E quindi adesso il rischio è maggiore“. Nel loro sito, si ricorda come fra dicembre 2010 e dicembre 2011 “almeno 11 attivisti e difensori dei diritti umani furono uccisi in Messico”, in diverse attività. Per non dire la situzione particolarmente pericolosa che subiscono i giornalisti.
Perché ha dovuto abbandonare il Messico? “In gennaio – spiega Marisela – abbiamo presentato una denuncia contro un gruppo di persone che sequestrano bambine e giovani. E questo ci ha portato gravissime conseguenze. In febbraio hanno cercato di incendiare la casa della figlia di Norma e lei ha dovuto andare via da Ciudad Juárez subito dopo. Il 10 marzo hanno minacciato me e la mia famiglia attraverso un manifesto che hanno messo alla porta della mia scuola. Lo stesso giorno abbiamo dovuto scappare di Ciudad Juárez, abbandonando le nostre case, i nostri mobili, i nostri lavori e ci siamo rifugiati negli Stati Uniti una parte della mia famiglia ed io. Da allora restiamo qui nascosti cercando di salvare le nostre vite. E con questo che gli è capitato a Norma Andrade temiamo che questo porti ad una tragedia in più. Perché la situazione per chi abita a Ciudad Juárez è di una grande rischio e ancor di più per coloro che difendono i diritti umani”.
Chi vi vuole uccidere? “Non lo possiamo sapere perché non esiste un’indagine. Ma possiamo immaginare che si tratti di persone che si dedicano alla tratta di bambine. Oppure, potrebbero essere anche membri della polizia corrotti e che collaborano con questi delinquenti. Io non so cosa è che può succedere, ma ci sono tante persone che difendono i diritti umani che sono state assassinate. Vogliono mettere a tacere le voci che denunciano quanto succede a Ciudad Juárez. Non è solo il femminicidio, ma anche l’uccisione di gente innocenti che pagano le conseguenze di una in teoria guerra iniziata dal governo messicano contro il narcotraffico e che ha coinvolto tanti innocenti”.
Nel 2009 la Corte Interamericana per i Diritti Umani aveva riconosciuto le responsabilità dello Stato messicano sulle morte di donne, e che non aveva fatto nulla per individuare i responsabili. I cittadini di Juárez hanno fatto la loro parte e quando si è inaugurato lo scorso mese un monumento in ricordo delle vittime, hanno urlato contro Felipe Zamora, viceministro dell’Interno, e hanno reclamato per la presenza del presidente Felipe Calderón e del ministro dell’Interno Blake Mora. Un governo assente in più di un senso. Sempre in novembre la sinistra riproverà con Manuel López Obrador che perse le ultime elezione presidenziali in modo poco chiaro, lasciando la vittoria di Calderón.