Le storie di John

John è quello che ha trovato la pipa dinka per il mio regalo. L’ho conosciuto durante una missione in Sud Sudan. Mancavano pochi mesi al referendum che avrebbe segnato la divisione del Sudan in due stati autonomi e ci trovavamo lì per raccogliere le indicazioni delle autorità locali rispetto al livello di sicurezza dell’area. John era sempre con noi.

Mi ha raccontato che da piccolo se ne andava in giro con le mandrie a controllare le mucche di famiglia. E di mucche devono averne avute tante perché suo padre ha avuto un imprecisato numero di mogli, segno di grande prestigio e ricchezza, e più di 100 figli. John deve essere stato uno di quei bambini che si incontrano nel cattle camps, spiritelli magri tutti ricoperti di cenere bianca, per combattere le mosche. Deve aver passato molte notti nel buio della boscaglia, circondato dal suo bestiame, a riscaldarsi davanti ai fuochi che illuminano i campi e tengono lontane le iene.

Ora lui fa il driver e il logista, conosce tutti ad Yirol e forse tutti in qualche modo sono un po’ suoi parenti. Se ne va in giro con la camicia azzurra sempre impeccabile e le scarpe irragionevolmente lucide in mezzo alla terra rossa delle piste di terra battuta. Ma quello che lo distingue dai giovani guerrieri che si incontrano da queste parti è quel sorriso aperto e la risata irresistibile da ragazzino.

John è un pozzo inesauribile di aneddoti, che mi ha raccontato sorridendo mentre guidava veloce sullo sterrato che taglia la savana da Yirol verso Rumbek, la capitale dello Stato dei Laghi. E io lo guardavo terrorizzata, come quei bambini che una volta, attorno al camino, ascoltavano gli anziani raccontare favole di mostri e fantasmi che se li sarebbero portati via.

“Qui è dove quella volta, con il medico che lavorava agli inizi in ospedale, abbiamo investito una mucca. Lui aveva insistito per guidare, non c’era stato verso di convincerlo. Ma ci vuole esperienza per guidare da queste parti! Una mucca si è spaventata ci ha tagliato la strada all’improvviso, lui non ha fatto in tempo a frenare e l’ha azzoppata. Doctor doctor sono guai, non fermarti, gli ho detto! Ma ormai eravamo circondati dalla mandria e arrivano i ragazzi dal cattle camp. Volevano molti soldi come risarcimento e noi non li avevamo con noi. Allora gli hanno detto che lo avrebbero azzoppato come lui aveva fatto con la loro mucca, secondo una variante della legge del taglione che vige da queste parti. Ma poi io sono intervenuto e mentre parlavo con i ragazzi gli ho fatto cenno di salire in macchina anche se loro non volevano lasciarlo andare… ma poi io… e allora loro… e siamo fuggiti e gli ho salvato al gamba” sorride.

“Qui invece una volta c’era un leopardo. Ero con Silvia, l’amministratrice del progetto, e lei non ci credeva che ad Yirol ci sono i leopardi. Era mimetizzato nell’ombra e non si faceva vedere, ma io ho l’occhio che vede lontano nella boscaglia e glielo indicavo. Sono sceso dalla macchina e le ho detto di avvicinarsi. Quando l’ha visto era così terrorizzata che non riusciva più a muoversi e continuava a dirmi di ripartire. Ma io non ho paura perché quando ero bambino tenevamo lontani gli animali selvatici con i fuochi, la notte”.

“Qui è dove quella volta i banditi hanno provato ad assaltarci. Ero con il dottore e sono spuntati dai cespugli con i fucili e i manganelli. La lotta per la liberazione del Sud Sudan era finita da poco, giravano molte armi e i giovani tornati dalla guerra non erano ancora abituati alla vita normale. Conosco queste strade e andavo veloce. Sono saltati fuori dalla boscaglia dai due lati, ma io ho accelerato e non ci hanno mica presi, perché se guido io siete al sicuro.”

Mi guarda orgoglioso e soddisfatto, incurante delle mie suppliche: ti prego John, non raccontarmi più niente. Ma non riesco a smettere di ascoltarlo.

Giulia Comirato

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