L’Afghanistan raccontato dai giornalisti (del posto)

1 agosto 2010 ore 22.46

Mi sono ritirato in camera da poco, tutti gli altri miei colleghi sono a una cena, io sono uno dei pochi che non è lì con loro. Non mi piace fare l'”asociale”, ma, un po’ per mal di stomaco, un po’ per la stanchezza, ho deciso di mangiare qualcosa in mensa per poi tornare in camera: devo dire che la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Oggi ho provato delle forti emozioni, ho incontrato i “miei” tre giornalisti e ho avuto un bellissimo colloquio con loro…Dopo l’incontro, sono tornato in camera carico di adrenalina. Ho lavorato fino alle due del pomeriggio trascorrendole tra le mie solite carte, documenti e pubblicazioni, dopo sono andato all’appuntamento che avevo col mio collega e con loro (i giornalisti).

L’incontro è stato possibile grazie all’ausilio di una giornalista italiana “in divisa” addetta alle pubbliche relazioni del contingente. Il nome della radio per la quale i tre giornalisti afghani menzionati lavorano è “Radio West”, una radio gestita dai militari dell’Esercito che opera nei teatri di guerra e che serve a promuovere le operazioni NATO nei teatri e a far avvicinare per l’appunto, i militari qui in missione, ai locali.Farhid, Seeta ed Haroon, questi i nomi dei tre, sono stati puntuali e tutti hanno dato il massimo della loro disponibilità a colloquiare col sottoscritto. Di loro so che hanno circa trent’anni, si sono laureati presso l’Università di Kabul e hanno fatto scuola di giornalismo. La persona che ha intermediato questo incontro (la giornalista in divisa), mi ha fatto sapere che i tre giornalisti sono molto motivati a lavorare quì col Contingente, percepiscono uno stipendio, cosa non da poco in Afghanistan, dove poter mangiare è esigenza primaria ed assoluta.

Tra loro c’è Seeta, l’unica donna dei tre: è l’esempio più lampante di un Afghanistan “indirizzato” a cambiare, a cambiare cioè la situazione della donna in generale, la quale non ha ancora alcun diritto e considerazione…L’argomento centrale del colloquio è stato questo. Di Seeta, so che a dodici anni, con rito “BAAD” (che spiegherò), è stata venduta in sposa dalla sua famiglia a un suo cugino e che dopo un po’ è riuscita a fuggire, è stata protetta, ha studiato, sogna di diventare una giornalista importante e di trasferirsi in America…

Farhid, dopo aver studiato giornalismo a Kabul, sogna anche lui un futuro per la sua carriera, sogna una famiglia con Zahina, che sta terminando i suoi studi a Kabul e che sposerà. Come già detto, alle ore 14,00 abbiamo avuto l’appuntamento con loro, che, grazie all’intermediazione per l’appunto, di un ufficiale dell’Esercito che si occupa delle “pubbliche relazioni” per il Quartier generale dove ha il Comando il contingente italiano, hanno accettato il nostro invito e risponderanno ad alcune domande riguardanti il loro Paese.

Il programma, se così si può chiamare, al quale i tre collaborano all’interno dell’installazione militare, è di promozione relazionale tra la popolazione afgana e i paesi occidentali, come detto prima. Mio obiettivo: imparare a conoscere in maniera più vera, i problemi che questo Paese sta attraversando e il coraggio e la dignità che Farhid, Seeta e Haroon hanno nell’affrontarli.

Attraversato il grande piazzale, calcato giorno per giorno da noi, siamo arrivati davanti ad una palazzina bianca. Superata una grossa scalinata esterna in ferro, siamo entrati nel corridoio che separa i tanti uffici dove militari del contingente e civili afghani, operano al raggiungimento degli scopi della missione. Percorsi il lungo corridoio e incrociato un movimentato via vai di uomini e donne in divisa, siamo arrivati davanti alla porta di una sala il cartello affisso su di essa “Aula Briefing” ci ha fatto capire che è l’aula dove avvengono le conferenze e dove i militari preposti ricevono tutte le visite inerenti alle pubbliche relazioni. Di fronte, un altro salone. Ho capito, è la sede della redazione della Radio e dove vengono “divulgate” tutte le attività precedentemente citate. Fermi davanti alla porta dell’aula, in pochi istanti ci ha avvicinati una donna italiana soldato in mimetica. In tenuta da combattimento color verde maculato e con un dolce sorriso, ci ha salutati, facendoci accomodare in aula Briefing. Mentre aspettavamo i tre giornalisti, abbiamo dato uno sguardo alle domande che io e Pasquale avevamo preparato per loro, sistemando anche qualche dettaglio… Dopo pochi minuti sono apparsi Farhid, Seena e Haroon davanti all’ingresso. Il nostro referente alzandosi e facendoli sedere di fronte a noi, ce li ha  presentati. Strette di mano e sorrisi con gli uomini, mentre con Seeta, unica donna dei tre, dato che consuetudine afghana vorrebbe che la mano a una donna non fosse porta per stringerla, ci siamo limitati a chinare leggermente il capo e contemporaneamente a poggiarci la mano al petto: come prevede l’educazione comportamentale nei confronti di una donna in questo Paese. E’ stato giusto attenersi a queste usanze. In un inglese sufficientemente comprensibile, i tre ci hanno fatto intendere il loro piacere e la loro disponibilità nel concederci l’incontro.

Durante il colloquio, i temi toccati riguardavano i pilastri e i valori fondamentali comunemente considerati dagli afghani all’interno della loro società, le loro relazioni interne nei villaggi, nelle tribù, il ruolo della donna e la democrazia; questi ultimi due, si è scoperto, sono argomenti purtroppo ancora non determinanti e con il loro aiuto siamo riusciti a capire se la nostra presenza, intesa come contingente internazionale e quindi il nostro aiuto, sta contribuendo a trovare qualche speranza in più, per affrontare i gravi problemi che attraversa il paese asiatico. Dalle parole dei tre, si è avuta la conferma riguardo a ciò che da tempo si pensava: penetrare all’interno della società afghana nel pieno rispetto delle loro tradizioni è effettivamente la chiave di volta del successo della presenza occidentale qui in questa parte di mondo e quindi di tutta la missione.

(continua)

 Giovanni Quattromini

(QuattroGi)

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