Dopo l'acqua, il cemento: l'alluvione del 1966 è tra noi
Dopo l’acqua, il cemento. Un’alluvione che non si ferma, quella del 1966. Lo spunto, la riflessione, ti colpisce laterale, come un’ondata di bitume (quello richiamato dallo sfondo nero del legno) entrando nel cortile di Palazzo Thun, a Trento. Eccola la mappa di Trento, così come venne sorpresa dall’alluvione del 4 novembre 1966: particelle catastali piene, integre, particelle vuote, sommerse; un gigantesco lavoro di ricerca e una riflessione gettata nel presente. Non per ragionare sulle opere idrauliche, sulla sicurezza dell’Adige. Ma per ragionare della forma città: di quella che poteva essere e di quella che è. La provocazione di Campomarzio, collettivo di architetti di Trento, è come una lama che entra dentro nel cuore della città. Esattamente la lama richiamata nel discorso di Teresa Pedretti, portavoce del collettivo, che giovedì sera ha inaugurato l’installazione davanti a quasi duecento persone: 4.11.66 – 4-11-16 rimarrà esposta, come un totem sul quale ritornare più volte, fino al 4 febbraio 2017. Una mappa in cui i trentini possono rileggere, sulla lastra, i fatti di quei giorni e rileggere – soprattutto – l’alluvione di cemento che ne seguì. Una mappa che parla di quel che non vi è rappresentato quasi quanto per quel che contiene.
Per noi l’alluvione rappresenta, in questa città, il cambiamento – ha spiegato Teresa Pedretti – assistiamo negli anni immediatamente successivi a quella notte al passaggio dal trentino rurale ed industriale al trentino dei servizi. Possiamo vedere nel 1966, il momento in cui nasce un Trentino diverso, quello di Kessler e Samonà. L’acqua che invade Trento il 4 novembre è quasi una premonizione: è un acqua densa del petrolio e della nafta fuoriusciti dalle zone produttive a nord e dalle abitazioni. È una lama che inesorabilmente segna il passaggio da un’economia moderna all’epoca post-moderna. Da quel momento in poi le fabbriche chiuderanno e, in Trentino, si assisterà ad un’altra alluvione: quella del cemento, che in pochi lustri ci restituirà la città di oggi.
Il ridisegno di ogni oggetto edilizia della Trento dell’alluvione abolisce le gerarchie tra centro e periferia, ci porta a non distinguere più spazi pubblici da spazi privati, ma apre alla possibilità di nuove letture, di interpretazioni profonde. Apre, in altre parole, alla conoscenza della città. Il lavoro alle mie spalle è l’immagine della Trento di un periodo molto recente: 50 anni sono un tempo limitato per la città e molti qui stasera probabilmente ne hanno memoria. Ma se noi ci fermiamo ad osservare queste lastre, ne leggiamo le gerarchie, le presenze e le assenze,… qui, 50 anni fa, possiamo già scorgere in nuce la Trento Nord che abbiamo oggi. E questo è il senso della ricerca: esaminare, studiare, analizzare ogni singola porzione ed il suo rapporto con il tutto nella Trento che si prospettava, per far sì che tra 50 anni non ci si ritrovi nuovamente a ridisegnare la città ed interrogarsi sulle occasioni perse, su quello che avrebbe potuto essere ed invece, ahimè, è divenuta. Prendetevi, in questi tre mesi in cui questo lavoro rimarrà qui, il tempo di osservare questo disegno,… trovate il tempo di immaginare questa lama d’acqua che rende tutto della stessa importanza. Prendetevi il tempo necessario ad immaginare la città com’era, come avrebbe potuto essere, come fu e come sarà.