La Transilvania e la reinterpretazione della storia
A cento anni dalla Grande Guerra e dalla caduta dell’impero austro-ungarico, la questione transilvana continua ad essere presente sull’agenda politica e nel dibattito pubblico. Il minimo accenno alla regionalizzazione, anche in semplice chiave amministrativa, fa venire i brividi alla classe politica romena e accende dibattiti incendiari nell’opinione pubblica. Dopo il 1989, la riconquista della democrazia ha coinciso con la rivendicazione di autonomia da parte della minoranza magiara per le provincie dove rappresenta una maggioranza assoluta (Covasna, Harghita). Qualsiasi altro argomento, mancanza delle riforme strutturali, il disastro del sistema sanitario e scolastico, mancanza delle infrastrutture, svanisce di fronte all’ incubo “di perdere la Transilvania”.
Nient’ altro non infastidisce di più i romeni, come il rifiuto dei magiari di farsi assimilare dalla maggioranza. Il loro “ostinarsi” a non rinunciare alla lingua e cultura materne, viene letto come una sfida e come mancata lealtà nei confronti dello stato. Certo, non mancano le provocazioni da parte degli estremisti magiari, che si sono spinti fino ad offendere i simboli nazionali romeni (vedi l’impiccagione simbolica degli eroi nazionali, il bruciare delle bandiere, ecc.)
Ma le cause della diffidenza reciproca sono molto profonde. Lo stesso impianto simbolistico delle due nazioni è costruito in base alla rivalità storica. La festa nazionale romena è il 1 dicembre, quando si festeggia l’unione della Transilvania con la Romania del 1918, sicuramente poco desiderata dalla minoranza magiara. Invece i magiari festeggiano il 15 marzo, la Rivoluzione Ungherese del 1848, che segnò il tentativo dei magiari di ricreare un proprio stato includendo la Transilvania, senza tener conto dei sentimenti nazionali diversi della maggioranza romena.
Forse ripartire da qui, “inventando” una festa della riconciliazione transilvana, sarebbe un bel inizio. Credo sia nulla di scandaloso nella “reinterpretazione della storia”, se questo processo possa aiutare alla buona convivenza. D’altronde, la storia rappresenta una interpretazione degli eventi storici tramite i filtri delle proprie sensibilità ed interessi esistenti ad un certo momento storico. La Transilvania è rimasta prigioniera di una visione nazionalistica superata, costruita nel Ottocento e mantenuta fino ad oggi.
Inventare una storia di riconciliazione transilvana non è certo facile, anche perché sia i romeni che i magiari rivendicano lo stesso territorio come culla della propria statalità. Non possiamo biasimare i romeni di rivendicare la Transilvania, anche solo tenendo conto delle statistiche che li vedono maggioritari. Ma possiamo forse calpestare i sentimenti dei magiari, visto che per secoli la Transilvania fu uno stato magiaro, anche quando l’Ungheria spariva sotto i colpi degli ottomani e nonostante avesse una popolazione maggioritaria romena? Sono stati gli intellettuali dell’Ottocento, romeni e magiari, a creare questo nazionalismo identitario per esclusione, che si alimenta continuamente grazie alla proiezione nell’ immaginario collettivo dell’Altro come nemico per eccellenza, sempre pronto a colpire.
La sfida di oggi è di trovare la via verso un rapporto di inclusione dell’Altro, come parte della propria storia e del proprio presente, senza pretendere di assimilarlo. Siamo pronti ad accoglierla, affrontando le opinioni contrarie, che si nutrono di due secoli di diffidenza reciproca?
Teodor Amarandei