La purezza dell'ignoranza: viaggio in India dove la scuola non c'è
Dopo un paio di mesi di permanenza in una cittadina nel cuore dell’India decido di partire per un’escursione di una quindicina di kilometri nelle campagne, nella ruralità tipica indiana. Qui si vedono i contrasti più indicibili, il tempo sembra in alcuni frangenti essersi fermato, fino al prossimo negozietto di cellulari, fino alle montagne di immondizia raccolte ai lati della strada. Sembra tutto essere così indecifrabile.
Se una persona si risvegliasse qua non credo capirebbe in che anno è. Nel 2014 o nel 1914, troverebbe tutte le stonature delle due epoche concentrate in un solo istante. Passeggio con occhio lucido e attento al minimo dettaglio, è un venerdi, sono le 10 di mattina e le strade sono piene, zuppe di bambini che corrono, giocano con gli aquiloni e mi seguono. Sono sorpresi di vedere un uomo bianco camminare nelle loro
strade di fango. Si chiamano l’uno con l’altro, sono per l’ennesima volta l’evento della giornata.
Sembrano dirsi “Ehi guardate ragazzi c’è un uomo di quelli delle pubblicità”. Mi guardano come una star del cinema, sono bambini e sono sinceramente sorpresi. La domanda che mi sorge spontanea è “ma quanti sono?”. Cammino leggero e saluto tutti gli sguardi che mi incrociano; è una delle cose più divertenti da fare in India. Salutare un indiano può renderlo la persona più raggiante dell’universo. Ti ricambierà estasiato, che sia vecchio, bambino, giovane o adulto. Tutti si aprono con un semplice “Namastè”.
Osservo l’economia locale, i piccoli negozietti che fanno i lavori di una volta, l’aggiustascarpe, il barbiere, il fabbro. Poi ci sono i carretti che vendono i prodotti appena raccolti nei campi. Che bello! si vede ancora la terra umida coprire gli ortaggi. Sto raccogliendo mentalmente queste immagini quando un gruppo di ragazzini mi chiede di potergli scattare una foto. Eseguo immediatamente e gliela mostro. Sono estasiati! Chissà cosa gli passa per la testa.
In quel momento realizzo che tutti questi ragazzi dovrebbero essere in classe a imparare, a studiare, a farsi una cultura. Realizzo solo ora che nessuno è a scuola, o comunque anche se qualcuno lo fosse ce ne sarebbero tanti, troppi per le strade. La scuola non è obbligatoria, chi può permetterselo manda i figli a studiare (solitamente si mandano i maschi). Un brivido mi corre lungo la schiena, sono l’unico fortunato nel raggio di almeno dieci kilometri ad aver studiato per più di vent’anni della mia vita.
Nella lunga passeggiata sono coinvolto in mille piccole diverse situazioni, dal piccolo imprenditore di tubi in cemento che mi mostra orgoglioso tutta la sua produzione, al venditore di chai che dorme dentro la sua baracca di legno di quattro metri quadrati. Tutte piccole pennellate di un quadro, di un’impressione che mi fa rendere conto di quante contraddizioni possono esserci in un contesto del genere. Ma la cordialità è di casa, i sorrisi sono senza denti ma sono sinceri. L’ignoranza però ha un certo fascino, l’ignoranza è pura.
In queste campagne si sa di non sapere, si è ben consapevoli che del mondo non si conosce quasi nulla. Sono finito in questi campi per assaggiare questa purezza, per immergermi, per comprendere che nella arroganza occidentale ci siamo dimenticati in fondo di non sapere molto più di questi contadini. Nella nostra credenza diffusa di essere “di più” rispetto a questi braccianti, schiavi della vita, ci siamo dimenticati di molti valori, morali, etici. Tutto adesso ha un cartellino col prezzo, e ogni cosa è giustificata da un’altra, perdendo di vista, spesso, il buon senso che tra gli ignoranti regna sovrano.
Allora una parte di me dice viva l’ignoranza, quella cosciente di esserlo, che riesce ancora a scaldare un cuore, che trascende il pensiero razionale e fa riflettere, fa riflettere su chi eravamo e su cosa siamo diventati.
Nicolò Bortoletto
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L’AUTORE
Nicolò Bortoletto. Classe 1987, laurea in economia degli scambi internazionali. Mi trovo in India per volontariato, ma non solo. Sono alla ricerca di comprendere quale siano le vere cause di questa crisi che definirei dell’uomo più che economica. Nella spiritualità orientale vedo uno spunto per riscoprire antichi, ma sempre validi, valori. Credo che una necessaria rivoluzione debba iniziare dentro ognuno di noi, altrimenti come nel Gattopardo tutto continuerà a cambiare affinchè nulla, realmente, cambi. Altri pensieri a riguardo (e non) li trovate su http://www.the-rock.it