La prima guerra mondiale e il giro del mondo del prigioniero Siro Pellis

La Grande Guerra italiana è iniziata con un anno di ritardo rispetto al resto d’Europa: il fatidico 24 maggio 1915, infatti, giorno che segnò l’entrata nel conflitto del regio esercito, era già quasi un anno che le ostilità tra le potenze europee avevano avuto inizio.  Per questo, nei territori «italiani» dell’impero asburgico, il Trentino e parte del Friuli, i maschi in età militare furono chiamati alle armi nel’14, la loro fu un’esperienza bellica senza eguali: fedeli ad una bandiera lontana come quella degli Asburgo e dell’Austria, ma abitanti di territori di confine dove l’influenza della neo nata Italia era già molto forte.

Per questo i battaglioni composti da soldati di provenienza italica venivano visti con diffidenza all’interno dell’esercito imperiale e la paura d’infedeltà portò il comando supremo austrungarico ad inviarli in zone di guerra lontane da casa, sul fronte russo, in Galizia, dove chi non trovò la morte, nella migliore delle ipotesi finì prigioniero. Molti di questi morirono durante la prigionia, a causa del freddo e degli stenti, non tornando mai più. Altri, invece, attraversando una Russia lacerata dalla rivoluzione riuscirono ad andare oltre la loro sorte e a conflitto finito ritornarono a casa.

Siro Pellis e l’Odissea partita dal Friuli

È il caso del fu Siro Pellis, che fino alla guerra trascorse tutta la sua vita nel piccolo mondo di Fiumicello e dell’Isontino, oggi in provincia di Udine. Richiamato alle armi il 27 luglio 1914, si presentò a Ronchi, per poi essere inquadrato in un reggimento di istanza a Lubiana prima, a Trieste e a Opicina poi. Nella primavera del 1915, l’ingresso dell’Italia nel conflitto ha segnato uno spartiacque nella sua vita: inizialmente assegnato con il suo battaglione a Gorizia, temendo eventuali casi di infedeltà dovuti alla provenienza, come altri friulani venne ricollocato inizialmente in Stiria e successivamente sul fronte russo, in Volinia, dove nel 1916 durante un’offensiva fu fatto prigioniero dall’esercito zarista. Dopo sei giorni di viaggio raggiunse Tambov, città della Russia sudoccidentale e sede di un governatorato, situata sul fiume Cna, 480 km a sud-est di Mosca. Qui venne alloggiato in un vecchio teatro dove fu diffidato dall’aderire alla partenza volontaria per l’Italia. Sin dal 1916, infatti, le autorità militari italiane avevano intrapreso una serie di missioni in Russia allo scopo di offrire agli austro-italiani prigionieri la possibilità di arruolarsi nell’esercito italiano.

Nelle pagine delle sue memorie Siro Pellis descrisse l’esperienza della prigionia: venne impiegato principalmente come lavoratore agricolo nei campi di nobili famiglie russe, una quotidianità simile alla sua vita ante guerra.  A interrompere il periodo di lavoro forzato e la relativa quiete di quei giorni fu lo scoppio della rivoluzione russa, che indusse i proprietari terrieri a licenziare i prigionieri di guerra, seguendo le indicazioni dei comitati rivoluzionari: era il luglio 1917. La nuova destinazione del suo vagare non fu ovviamente confortevole, ma Pellis riprese i contatti con altri conoscenti friulani in Russia che si trovavano a Kirsanov, dove erano stati concentrati gli austro-italiani disposti ad arruolarsi nell’esercito italiano, per fare domanda per il rientro in Italia. Nell’ottobre 1917 raggiunse così il campo di Kirsanov, la partenza dal quale avrebbe dovuto avvenire in agosto, quando soltanto pochi uomini poterono però essere imbarcati.

Il viaggio di ritorno

Il tanto agognato viaggio di ritorno di Pellis iniziò nel 1918, quando in treno il gruppo attraversò la Siberia e il suo gelo in ventiquattro giorni, viaggiando attraverso un paese travolto dal caos rivoluzionario e superando ostacoli e rallentamenti. Successivamente arrivò in Manciuria e successivamente in Cina. Il gruppo raggiunse così Tien Tsin dove, dopo la rivolta dei Boxer, l’Italia aveva ottenuto una concessione territoriale, utilizzata come sede diplomatica per l’Oriente.  Pellis nei suoi scritti si definì affascinato dalle abitudini locali, tanto diverse e lontane rispetto al suo mondo rurale. Intanto, gli ideali della rivoluzione che divampava in Russia, che il protagonista non condivideva, si erano diffusi anche tra i prigionieri-volontari, rendendo necessario l’intervento del maggiore Manera, storico carabiniere a capo della spedizione, per sedare diversi tumulti di origine politica. Passarono così i giorni e soltanto alla metà del giugno 1918 il gruppo destinato all’Italia riuscì finalmente a ripartire per la Manciuria da dove, via Vladivostok, avrebbe intrapreso il viaggio transoceanico.

Il 21 giugno la nave salpò, per raggiungere 15 giorni dopo le Hawai e di lì San Francisco, da dove lo scaglione potè raggiungere Camp Dix, campo di addestramento per le truppe statunitensi destinate all’Europa, per il  quale  transitarono  centinaia  di  migliaia  di  uomini  destinati  alla Francia. L’arrivo in Italia, a Genova, avvenne il 5 settembre 1918 e dopo un periodo di sistemazioni fortunose e di attesa, giunta la notizia dell’armistizio e della fine della guerra, Pellis riuscì avventurosamente a raggiungere casa,  lasciata  oltre  quattro  anni  prima, con alle spalle una guerra combattuta lontano e un viaggio di ritorno che lo ha portato a compiere un incredibile giro del mondo.

Sebastiano Borgato

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