Südtirol, la frontiera che non c'è
“Ciò, là i xe tuti tedeschi!”. Fu una vacanza trascorsa nel 1968 in val Pusteria a svelare per la prima volta all’allora presidente del Consiglio, il vicentino Mariano Rumor, che all’interno dei confini nazionali esisteva un’area, un’intera provincia, dove la lingua della gente non era l’italiano bensì il tedesco.
A poco meno di cinquant’anni da quella scoperta, quasi un secolo dal passaggio del Sudtirolo dall’Austria all’Italia, ancora oggi, oltrepassata la chiusa di Salorno percorrendo l’autostrada del Brennero verso Nord, valicato il passo dello Stelvio venendo dalla Lombardia oppure il Costalunga all’estremità della trentina val di Fassa, la sensazione è la stessa: quella di aver attraversato una frontiera. Il confine è invisibile, ma netto e tangibile come e più di una barriera ufficiale. Al di qua c’è l’Italia. Al di là c’è il Sudtirolo. La Provincia autonoma di Bolzano. Quella delle mele e dello speck. Quella delle piste da sci e dei castelli. Quella tedesca, insomma. L’Alto Adige è in Italia. Eppure non è Italia.
Te ne accorgi prima ancora di sentire le persone salutarsi con pfirti e widerschauen, prima ancora di imbatterti nei baracchini del centro storico del capoluogo che vendono Currywurst e vin brulè. La tirolesità la respiri quando, naso all’aria, segui con gli occhi la linea teutonica dell’architettura urbana o quella squadrata dei masi d’alta quota, quella netta delle piste ciclabili che si snodano fra i prati del Talvera e l’Isarco, quella frastagliata delle montagne che abbracciano da ogni lato la città.
Innegabile come una verità trascendente e scomoda come un segreto svelato ai quattro venti, tanto più autentico quanto immediato alla percezione di chiunque. Si capisce al volo di essere di fronte a una terra che per il 2019, centenario dal trattato di Saint Germain che mutò la capitale da Vienna a Roma e la lingua ufficiale dal tedesco all’italiano, ha ancora come obiettivo primario la “convivenza”.
Non sono bastati la colonizzazione fascista, gli anni delle bombe né lo statuto di autonomia a far integrare gli italiani (più o meno il 26% della popolazione provinciale a seconda delle statistiche, quasi tutti rigorosamente “immigrati” di recente o al massimo bolzanini di seconda generazione), i tedeschi (il 70% degli abitanti del Sudtirolo, storici inquilini di questa terra), e i ladini, spiritosa minoranza disseminata, oltre che nelle valli Gardena e Badia, anche nel Trentino e nel Bellunese. Non sono bastati, e a ben guardare c’è l’impressione che non basteranno neanche i prossimi cento anni a rendere concittadini quelli che oggi sono semplici vicini di casa.