La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – prima parte

Mio nonno Giulio mi raccontava che suo papà Filippo era chiamato scherzosamente “quello del zioba” (cioè quello del giovedì) perché, ritornato in laguna verso la fine del 1901 dalla spedizione in Cina, aveva perso il conto dei giorni credendo che venerdì fosse ancora giovedì. Quest’aneddoto mi ha indotto a ricercare più dati sulla presenza coloniale italiana in Cina nel secolo scorso.

Tutti noi Italiani, infatti, sappiamo approssimativamente che in Libia, in Etiopia, Eritrea e Somalia si consumò l’avventura coloniale italiana. Alcuni, magari quelli i cui genitori sono stati espulsi da Gheddafi dalla Libia nel 1970, portano avanti la retorica dell’Italia civilizzatrice che ha dato di più di quanto non abbia tolto. Altri invece in un atteggiamento autoflagellante condannano, pur non sapendo cosa sia successo, tutto quello che l’Italia ha fatto nelle colonie.

La presenza italiana (dimenticata) in Cina

Pochi sembrano ricordare che l’Italia ha mantenuto una presenza in Cina per quarant’anni ininterrotti; del resto gli imperialisti Inglesi hanno conservato la colonia di Hong Kong fino al 1997; e il modo in cui l’hanno ottenuta è stato straordinariamente criminale.

La Compagnia Inglese delle Indie Orientali aveva ottenuto nel 1765 un monopolio sulla produzione di oppio in Bengala, costringendo gli Indiani a coltivarlo al posto del riso. Questa strategia ha portato alla fame dieci milioni di persone nella carestia del Bengala del 1770 e profitti altissimi ai Britannici. Usando l’oppio come moneta per pagare in Cina, gli Inglesi evitavano di esaurire le loro riserve di argento.

Il governo cinese non vedeva favorevolmente la situazione. Nel 1838, il commissario Lin Zexu ha distrutto 20.000 casse di oppio a Canton dal valore di quasi 1.000 dollari a cassa. Gli Inglesi, furenti, invasero la Cina per asserire il loro diritto di trasformarla in un paese di drogati continuando il business lucrativo della vendita dell’oppio e in più si fecero dare delle “concessioni” che erano delle vere e proprie colonie con diritto di extraterritorialità’ a garanzia del “buon comportamento” dei Cinesi.

La rivolta dei Boxers

Alcuni patrioti cinesi, sdegnati per queste umiliazioni, avevano fondato una società segreta, la Società dei Pugni Giusti e Armoniosi (detta in Occidente dei Boxers) che si proponeva di cacciare gli invasori e di purificare la società dalle influenze occidentali, ad esempio, quella dei missionari. Dal novembre del 1899 fino al 7 settembre 1901 i suoi membri attaccarono violentemente le imprese occidentali uccidendo impiegati e distruggendo proprietà. Il governo Qing condannava formalmente le azioni violente, senza però perseguirne i responsabili perché in fondo questi facevano quello che il governo legittimo era impossibilitato a fare.

Così le 8 potenze occidentali le cui delegazioni erano state poste sotto assedio a Pechino per cinquantacinque giorni decisero di soccorrerle e quindi gli Inglesi, i Francesi, i Russi, gli Americani, i Giapponesi, l’Impero Austro Ungarico e i Tedeschi mandarono i loro corpi di spedizione in Cina. Il parlamento italiano autorizzò il 5 luglio 1900 la creazione di un corpo di soccorso di circa 2000 soldati, al comando del Colonnello Garioni, partito da Napoli alla presenza del re Umberto I che ricordava “il sacro diritto delle genti e dell’umanità calpesta” alla quale, come da tipica mentalità colonialista, non appartengono i popoli colonizzati.

Un bisnonno da Napoli alla Cina

Non vi ricordano improvvisamente qualcosa di più contemporaneo, adesso, questi fatti dimenticati? Il mio bisnonno quindi da Napoli si imbarcò per la Cina, fermandosi anche per tre giorni qui a Singapore.

A guerra finita, il 7 settembre 1901, i Ministri esteri ed i Plenipotenziari cinesi, riunitisi a Pechino alla Legazione di Spagna, firmarono il protocollo finale che poneva termine ai disordini dell’estate 1900 e ristabiliva le relazioni “amichevoli” tra le Potenze straniere e l’Impero Cinese.  Le Nazioni firmatarie del protocollo furono la Germania, l’Austria-Ungheria, il Belgio, la Spagna, gli Stati Uniti d’America, la Francia, l’Inghilterra, l’Italia, il Giappone, l’Olanda e la Russia.

L’Italia ottenne la sua concessione in Cina, la colonia di Tientsin (oggi Tianjin), formalmente ritornata alla Cina di Chiang Kai Shek solo nel 1947.

[Continua – parte prima]

di Giovanni Lombardo

La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – undicesima parte: a volte ritornano (2)
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Foto: Tientsin, Caserma Ermanno Carlotto con militari nel 1939, di Luca.invernizzi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, via Wikipedia

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