La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – sesta parte: Italiani nel resto della Cina fino al 1945
Non ricordo di aver letto niente circa la presenza italiana in Cina tra le due guerre mondiali, ne’ sui libri di scuola al liceo classico, ne’ alle scuole medie. Ricercando tra le fonti, ho scoperto che il Regno d’Italia era coinvolto in Cina non solo tramite la concessione di Tientsin, dotata di extraterritorialità come se fosse un lembo a tutti gli effetti del patrio suolo , ma anche in diversi e molteplici affari nelle città principali come Nanchino, capitale della repubblica di Chiang Kai-Shek prima, e del collaborazionista filogiapponese Wang Ching-Wei dopo, Pechino, ex capitale mancese, Shanghai e Hankou.
Una serie di domande mi sorgono, qui, nella prospera Singapore, settant’anni dopo la fine di quei rapporti, prima fra tutte: perché’ non ci viene insegnato a scuola ciò che di positivo ed innovativo è sicuramente stato portato dall’Italia in Cina, e quelli che invece furono grandi errori, simili agli errori che vengono ripetuti oggi, in modo da poter imparare qualcosa di molto utile in un momento storico cui il mondo è sempre più interconnesso tramite la globalizzazione?
Il Governo Italiano aveva avviato una brillante operazione commerciale nell’autunno del 1933 riuscendo a prevalere su Americani e Tedeschi aggiudicandosi l’incarico di razionalizzare e organizzare l’aviazione del governo nazionalista di Chian Kai-shek. Immaginate cosa significherebbe oggi avere le commesse per organizzare l’aviazione cinese? Allora gli Italiani ci riuscirono!! Il Generale Roberto Lordi e il Capitano del Genio Aeronautico Nicola Galante arrivarono a Hankow e nel 1934 trasferirono tutte le operazioni a Nanchang, lontano dalle coste, costruendo su una palude che venne appositamente bonificata (sembra il ripetersi della storia di Tientsin) una scuola di pilotaggio ed una facoltà universitaria di Ingegneria Aeronautica. Queste istituzioni facilitarono enormemente le esportazioni di aerei italiani in Cina: biplani da caccia FIAT CR.32, Caproni Ca.111, biplani Breda Ba. 28, trimotori SIAI S.79 oltre ad una ventina di Breda Ba. 25.
Fu poi decisa la costruzione di una fabbrica di aeroplani in Cina e l’inizio della produzione nell’arco di poco meno di due anni. Per questa struttura industriale, fiore all’occhiello dell’attività aeronautica italiana all’estero, quattro ditte nazionali, Breda, Caproni, FIAT e SIAI, su richiesta del Governo italiano, costituirono il “Consorzio Aeronautico per la Cina”. Il “Consorzio”, chiamato “Aerocina”, provvide, assieme al Banco di Napoli, ai capitali necessari, garantiti per il 75% dallo Stato italiano. Fu costruita una fabbrica che prese il nome di S.I.N.A.W. (Sino-Italian-National-Aircraft-Works). Ufficiali Cinesi andarono a studiare all’accademia militare di Modena. (Una curiosa conseguenza di questo scambio fu una storia di spionaggio affascinante di cui ci occuperemo nella prossima puntata).
Nell’Ottobre 1934 Antonio Omodeo, come esperto della Società delle Nazioni in tema di idrografia, fu mandato a studiare il fiume Giallo, ricevendo complimenti da tutto il mondo accademico cinese.
Dall’Ottobre 1933 all’Ottobre 1935, il Governo Italiano inviò, su richiesta del Ministero Cinese degli Esteri e della Giustizia il giurista Attilio Lavagna, già segretario particolare di Giolitti per riorganizzare la giustizia.
Immaginate come sarebbe potuta essere una Cina fortemente influenzata dall’Italia?
Purtroppo con l’invasione italiana dell’Etiopia, contestata dalla Cina che era stata invasa dai Giapponesi e non voleva giustificare nessun precedente a una simile condotta aggressiva, e con l’avvicinarsi dell’Italia all’asse Nippo-Germanico, il clima iniziò a mutare e a deteriorarsi nel 1937.