La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – seconda parte
天 (Tien) in Cinese significa “Cielo”. Un po’ come nelle parole che descrivono la famosa piazza di Pechino “ Tien, 天An men 安門廣場”, ovvero piazza della Porta del Cielo.
Tien 天 tsin 津è il guado del Cielo sul fiume.
A dispetto del nome, però, l’Italia a Tientsin non ottenne nulla di “celestiale” dal trattato di pace: il 7 giugno 1902 le fu affidato in concessione perpetua un territorio in gran parte paludosa e per il resto cimitero, di una quarantina di chilometri quadrati circondato dalla concessione russa e da quella austriaca. Un’area che richiese un cospicuo investimento per la bonifica, rallentato dalla scarsità di fondi messi a disposizione del Governo Italiano. (Questo vi ricorda qualcosa?)
Con l’accordo finale, in data 2 luglio 1905, ogni incertezza scompariva calcolando il debito cinese in otto milioni di taels, una somma inferiore a quella inizialmente pretesa. Per fare un esempio, all’Italia spettava il controvalore di 740mila taels pari a un milione e 795mila franchi. Si poneva intanto il problema di amministrare il territorio e di riscuotere le indennità. Proprio a tale scopo alcuni ambienti finanziari si erano subito mostrati disponibili. Il Credito Italiano – perseguendo una politica di penetrazione sui mercati esteri – sin dal 1901 aveva stipulato un accordo con la Società Bancaria Milanese per proporre al Governo di Roma di conferire alla “Società italiana per il commercio con le colonie” il servizio di riscossione delle indennità estorte dopo aver pacificato i Boxers; nello stesso tempo proponeva l’apertura di una filiale a Shanghai onde facilitare l’importazione di seta cinese, settore totalmente controllato da ditte francesi e inglesi. Lo Stato italiano inizialmente non è davvero interessato alla Cina e quindi non vuole investire risorse economiche per cui si affida alle capacità dei suoi rappresentanti in loco per la sua costruzione. I protagonisti della realizzazione e dello sviluppo di questa piccola Italia diventano così i diplomatici italiani di stanza in Cina che per questo compito si avvalgono della collaborazione dei missionari e di qualche italiano residente. Per poter avviare l’ambizioso progetto c’è però la necessità di bonificare il terreno che ha un costo molto elevato per cui si procede: in primo luogo alla stesura del piano regolatore (che viene approvato nel 1905); quindi alla elaborazione di un primo regolamento edilizio (1907) e infine alla stesura del bando dell’Asta per la vendita dei terreni che dovrà in buona parte finanziare l’intero programma. Nell’acquisto si cerca di privilegiare in primo luogo gli italiani per i quali sono previsti forti sconti sul reale valore della terra. Ciononostante a farsi avanti per primi sono nella maggior parte dei casi ricchi cinesi: imprenditori, commercianti, intellettuali ed anche signori della guerra che in questo modo possono allontanarsi da Pechino pur restando nelle sue vicinanze.
Nel 1915, quando l’Italia entrò in guerra contro gli Imperi Centrali, la colonia di Tientsin contava circa 10.000 abitanti (cinesi) e da 350 a 400 italiani, la maggior parte dei quali erano commercianti. A quel tempo la difesa dello stabilimento è stata affidata al solo ca. 200 soldati e ufficiali (per lo più Bersaglieri) supportati da una cinquantina di miliziani cinesi.
Dopo poco più di dieci anni, in altre parole alla fine della Prima Guerra Mondiale, il consolato, l’ospedale, il palazzo della municipalità e circa 150 altri graziosi edifici eretti nello stile dell’epoca avevano finito col creare una piccola e bella città italiana, per quanto oggi dimenticata in Italia, che fu per tutto il tempo della sua esistenza il centro di moltissimi eventi.
Situata in una posizione strategica, vicinissima a Pechino e sul canale navigabile che la collegava a Shanghai, la Concessione Italiana di Tientsin comincio’ la sua complessa vicenda.
Chi l’avrebbe detto, ad esempio, che fu proprio qui, a Tientsin, che gli Italiani ebbero il loro primo incontro con il jujitsu? I contatti tra i marinai italiani e quelli nipponici, consolidati al tempo della rivolta cinese dei Boxer (1900), favorirono la diffusione delle arti marziali anche tra i nostri soldati, incuriositi e affascinati dal modo particolare di combattere all’arma bianca o a mani nude. Domata la rivolta xenofoba, i commenti entusiastici di civili e militari sulle virtù della lotta giapponese in campo bellico, convinsero il Ministro della Marina Carlo Mirabello a organizzare un corso sperimentale. Ordinò quindi al capitano di vascello Carlo Maria Novellis di assumere un istruttore di jujitsu a bordo dell’incrociatore Marco Polo, che stazionava nelle acque della Cina.
Durante la Prima Guerra Mondiale i sudditi trentini, triestini, friulani, istriani e dalmati dell’Impero Austro Ungarico erano stati arruolati nelle truppe asburgiche, e dislocati in fronti lontani, come quello della Galizia, dove non avrebbero simpatizzato con le truppe del Regno d’Italia, secondo l’eterna regola del divide et impera. Tutti quelli presi prigionieri dai Russi, circa venticinquemila, venivano interrogati se si qualificavano come “Italiani” e non più “Austroungarici” e con gli auspici del Regno d’Italia finivano per sfuggire anche alla guerra civile tra zaristi e sovietici che insanguinava la Russia attraversando le immense steppe siberiane fino a raggiungere il porto di Vladivostok, da dove venivano imbarcati per Tientsin. In questo modo la piccola citta’ italiana di Tientsin divenne per tutti questi ex sudditi imperial-regi di etnia italiana il primo suolo della nuova Patria dove mettevano i piedi dopo il perfezionamento dell’Unita’ d’Italia che, finita la Prima Guerra Mondiale, aveva finalmente aggiunto Trento, Trieste, Istria e Zara, pur restando ancora esclusa la Dalmazia, al suo corpo.
Alloggiati a cura del Consolato Italiano nelle caserme inglesi dell’Indian Barraks, inquadrati da una ventina di ufficiali italiani in compagnie di circa 200 uomini costituirono la cosiddetta Legione Redenta e furono distribuiti in tre sedi: 1.750 a Tiensin, 500 a Pechino e 250 a Shan-kai-kuan, formando il Corpo Italiano di spedizione in Estremo Oriente (CSIEO), rinforzato poi con l’arrivo dall’Italia di un altro contingente di militari.
Questo corpo di spedizione combatté nell’estate 1919 per mantenere attiva la ferrovia transiberiana in Manciuria, che serviva agli Alleati per approvvigionare i Russi “Bianchi” contro i sovietici. E tutto a partire da Tientsin, che, negli anni successivi, divenne sempre piu’ strategicamente importante per il governo di Roma.
[CONTINUA – parte seconda] di Giovanni LOMBARDO