La colonia dimenticata di Tianjin (Tientsin) in Cina – quarta parte
Verso l’inizio degli anni Trenta la situazione nella regione si era deteriorata ulteriormente: oltre alle rivalità tra il governo nazionalista e i comunisti guidati da Mao, c’erano le continue interferenze dei Giapponesi che avevano invaso la Manciuria il 19 settembre 1931 trasformandola in uno stato fantoccio, il Manchukuo, cui misero a capo Pu Yi, l’Ultimo Imperatore Qing. Nel 1932 Chiang Kai-shek aveva chiesto a Galeazzo Ciano di fare da mediatore dopo l’incidente di Mukden, a riprova della fiducia (mal riposta, come proveranno i fatti posteriori) che il governo cinese aveva nell’Italia. Il Kuomintang riteneva l’attacco giapponese un problema di secondo grado, preferendo dare priorità al “fare pulizia a casa” (=eliminare i comunisti ed i signori della guerra) prima di scacciare gli invasori.
Nel 1930 la concessione italiana di Tientsin aveva 7.954 abitanti di cui 394 italiani e 146 europei. Erano governati da un podestà (il Regio Console d’Italia) assieme ad una consulta composta da italiani e cinesi.
Nel 1927 Galeazzo Ciano era stato mandato da Mussolini come ambasciatore a Pechino. Nel 1930 Ciano, durante un breve soggiorno a Roma, sposò Edda, la figlia di Mussolini allora solo ventenne, per poi tornare con lei in Cina fino al 1933 sempre in veste di ambasciatore del Regno d’Italia. In viaggio di nozze Ciano visitò Tientsin ed al suo ritorno in Cina cominciò a sviluppare i piani che aveva elaborato con Mussolini, come quello di aprire una fabbrica aeronautica in Cina, e che si potevano ricondurre a due obiettivi tra loro connessi: a. procacciare per l’industria italiana ordini che le consentissero un salto di qualità con un aumento delle quantità; b. far assumere dal governo cinese consiglieri militari italiani.
L’Italia esportò in Cina aerei da bombardamento, aerei da caccia, velivoli acrobatici, e tutto il materiale di supporto di cui questi necessitavano, come armamenti, pezzi di ricambio e materiale didattico per istruire il personale sia di terra che di bordo. La Fiat fornì addirittura una galleria del vento all’Università di Nanchino, e nel 1933 ottenne anche un ordine di ventiquattro C.R.32 per scopi di addestramento.
Come avviene anche oggi con certe ditte che promettono l’esclusiva ad un importatore e poi creano una sottomarca per poter vendere anche al concorrente di quell’importatore, gli Italiani avevano gia’ venduto aerei ad un signore della guerra: nel 1924, Feng Yu-Xiang, un signore della guerra nel nord della Cina, aveva istituito un reparto di aviazione, e un piccolo corpo d’aria indipendente che usava 12 aerei Ansaldo.
Nel 1932 la Compagnia di navigazione Lloyd Triestino aprì una nuova linea Italia-Cina, utilizzando due transatlantici di prestigio, il Conte Biancamano e il Conte Rosso (che stabilì il nuovo record mondiale per la traversata, impiegando 23 giorni di navigazione) con tappe a Venezia, Brindisi, Suez, Bombay e Singapore. Grazie ai nuovi servizi di trasporto l’interscambio italo-cinese salì a un livello tale da impensierire gli inglesi e i francesi.
La Cina aveva un urgente bisogno di armamenti per potersi difendere dalle aggressioni nipponiche. Oltre agli aerei, la missione italiana cercò di creare in Cina le infrastrutture adatte all’avvio dell’industria aeronautica cinese, e sotto le direttive dei delegati italiani fu intrapresa la costruzione dell’aeroporto militare di Nanchang, e fu istituita la Sino-Italian Aircraft Works, una società interamente italiana, che montava in Cina degli aerei di progettazione italiana; fu da questa fabbrica nei pressi di Nanchino che uscirono i primi Savoia Marchetti S.M.81 costruiti in Cina. Dal nostro Paese giungevano tecnici ed esperti di ogni campo, per sovrintendere la costruzione di ferrovie, delle dogane, la direzione delle poste, persino la revisione del codice penale e la modernizzazione dell’apparato finanziario con risultati sempre elogiati dai governanti cinesi.
Nel 1933, a Roma, al ritorno di Ciano, nasceva l’Istituto italiano per il medio ed estremo Oriente (Ismeo, ancora oggi in piena attività) sotto la presidenza del filosofo Giovanni Gentile e del famoso orientalista Giuseppe Tucci. Tutti questi sforzi inizialmente vincenti di legare la Cina all’Italia vennero però vanificati quando il Regno d’Italia firmò, il 6 novembre 1937, il patto Anticomintern che la legò al Giappone tramite la Germania. L’Italia, dietro pressioni giapponesi, riconobbe lo stato fantoccio del Manchukuo il 29 novembre, e, di conseguenza, l’intera missione italiana dovette lasciare la Cina il 19 dicembre dello stesso anno.
Parallelamente, in modo teutonicamente più composto ed efficace, anche i Tedeschi avevano cercato, con successo, di legarsi all’industria cinese, a dispetto delle limitazioni loro imposte dal trattato di Versailles.
Hsiang-hsi Kung, un discendente di 75o grado di Confucio, era il ministro dell’economia di Chiang Kai-shek. Nel pomeriggio del 13 Giugno 1937 incontrò a Berlino il ministro della guerra tedesco Werner Eduard Fritz von Blomberg per discutere l’esecuzione dell’accordo HAPRO del 1936 secondo il quale il Terzo Reich avrebbe prestato alla Cina 100 milioni di Reichsmarks per comprare armi e macchine tedesche. Per ripagare il prestito, la Cina avrebbe inviato in Germania tungsteno e antimonio, risorse strategiche molto ricercate dai tedeschi. Non siamo troppo lontani da qualche situazione contemporanea, dove la Germania presta soldi alla Grecia per poterle vendere materiale militare, e poi la biasima. Per facilitare l’arrivo in Germania dei due metalli rari fuori Cina, i Tedeschi avevano addirittura sviluppato la rete ferroviaria cinese. Nell’aprile del 1938 i consiglieri militari tedeschi furono richiamati in Germania. I Cinesi avevano utilizzato per lungo tempo i loro servizi e quelli degli Italiani e quindi erano furenti perché si sentivano traditi. Le forniture di tungsteno e antimonio furono quindi sospese e i Giapponesi promisero che avrebbero compensato i tedeschi per questa perdita, dando origine all’operazione Monsun in cui furono impiegati i sottomarini italiani per arrivare nel Pacifico.
L’aereonautica italiana era allora all’avanguardia nel mondo. Non solo l’aereo Macchi pilotato da Francesco Agello aveva superato i 700 km/ora, record mondiale, negli anni Trenta, ma anche più tardi, la Federazione Aeronautica Internazionale aveva considerato per lungo tempo il volo dell’aereo Caproni Campini del 28 agosto 1940, pilotato da Mario de Bernardi, come il primo volo al mondo di un aereo a reazione . [In realtà i Tedeschi avevano in fatto volare il loro Heinkel He 178 il 27 agosto 1939, ma avevano tenuto segreto l’evento per motivi strategici]. Anche se autori come Richard Branson nel suo libro “Reach For The Skies” non la citano per nulla, l’industria aeronautica italiana era la prima nel mondo. Perché rimane sconosciuta? Allora, come oggi, i nostri ricercatori non erano presi troppo sul serio dall’industria e dalla politica, e la politica era completamente scollegata dalle esigenze del paese reale mentre nel mondo anglosassone la ricerca trova subito applicazioni pratiche che vengono implementate per permetterne la produzione in serie. Di qui, la damnatio memoriae nei nostri confronti da parte degli Anglosassoni (che pure portarono a casa loro gli aerei italiani per studiarne le innovazioni).
Alla vigilia della seconda Guerra mondiale, nel 1939, le condizioni economiche e sociali della Cina invasa dal Giappone non lasciavano presagire nulla di buono per la nostra piccola ma attivissima concessione a Tientsin.