Istanbul dalla A alla Z - Sohbet, la chiacchiera
Sohbet– La chiacchiera
C’é chi approccia uno sconosciuto con un sottile small-talk, strategia tanto amata nella cultura anglosassone e c’è chi invece brilla per il “big-talk” soave arte che mi ha più volte sorpreso in Turchia.
Può succedere di incontrare un signor nessuno alla teca di un bar, il quale anzichè chiederti banalmente “Passi spesso da queste parti?”, preferisce cominciare con “Sei straniero”, “Cosa pensi del conflitto israelo-palestinese?”, “Quanto guadagni?”, “Credi in Allah?” e -specialmente se sei una donna- “Hai figli?”,“Quanti hanni hai?”, “Quanto pesi?” per non parlare di altre domande che se non sono il modo migliore di far nascere un’amicizia, sicuramante sono un ottimo modo di terminarla.
Ho trovato però molte persone aperte alla conoscenza di stranieri, a volte perchè questi sono visti come una Mastercard che cammina, ma spesso per una sincera e naive curiosità per l’Europa. In Tuchia ci sono due passaporti: quello verde, per il popolo, e quello rosso, per i dipendenti statali in carriera e i loro figli. L’Europa compare in ogni telegiornale; per chi ha il passaporto rosso basta mettersi su un aereo e volare a Roma o a Parigi, ma a chi ha il passaposto verde ha bisogno di un visto per la zona Schengen, che è caro ed elargito con il contagocce.
Intavolare una conversazione piacevole quindi dipenderà molto da voi. Ecco qui una riflessione e una ricetta.
Le culture del mondo si dividono in due tipi: quelle che per non entrare in discussioni rischiose parlano del tempo e quelle che per lo stesso motivo vi descrivono i sapori, l’aspetto e le ricette di manicaretti locali, di leccornie esotiche, il profumo dei vini e altre gioie della vita. I turchi appartengono sicuramente al secondo gruppo.
Tralasciando il fatto che “parlare del più e del meno” in turco si dice “havadan sudan konuşmak”, letteralmente “parlare del tempo e dell’acqua”, non c’è turco che non sia un grande esperto di cucina locale. Ogni città della Turchia si vanta di essere la patria di una particolare specialità alimentare: a Gaziantep il baklava, a Bursa dolci di castagne, a Maraş il gelato, a Çamlıca lo yogurt, i mantı (tortellini turchi) a Sinop, te a Rize, il pastirma (un prosciutto bovino) a Kayseri, le köfte (polpette) a Edirne, Inegöl e Tekirdağ, le şiş kofte (polpette attorno a uno spiedino) a Gaziantep, Urfa e Adana, il künefe (una sorta di mozzarella in carrozza dolce avvolta di vermicelli e caramellata) a Hatay ed a Mersin, l’hummus ad Hatay, il kebab è conteso tra Adana e Alessandretta così come molte altre prelibatezze che avrò dimenticato in questa lista.
Anche se nella mente dell’occidentale medio il baklava è sinonimo di mieloso dessert mediorientale, avvolto in un foglio di alluminio e esposto e conservato vicino alle cipolle dietro la vetrina di un kebabaro, nel vocabolario turco è un nome generico che indica una dozzina di diversi dolcetti dagli ingredienti sofisticati e nomi promettenti come “turbante avviluppato”, “palazzo”, “vascello della principessa”, “nido dell’usignolo”…Chi avesse l’opportunità di andare al molo di Karaköy, a 20 minuti da Aya Sofia, con un amico turco, si faccia accompagnare alla baklaveria di Güllüoğlu. Avrà la sensazione di come la fantasia umana sia riuscita a declinare in un’infinità di modi miele, pasta sfoglia e semi oleosi sgusciati. Un’esperienza analoga vi aspetta a “Saray muhallebicisi”, un negozio di budini in Istiklar Caddesi, un palazzo di quattro piani straboccante di lattosio in decine di ricette.
Un atlante della specialità gastronomiche anatoliche non è ancora stato scritto, ma è impresso nella geografia mentale di ogni turco. Quindi uno small talk di successo che conducesse il vostro interlocutore in lidi sicuri potrebbe suonare così: elogiate la salsa di peperoni, chiedete dove si trova il miglior negozio di baklava o la miglior ricetta per il börek e il vostro ospite sarà lieto di saziare la vostra curiosità e il vostro appetito offrendovi un appuntamento a quattrocchi nel migliore ristorante sul Bosforo.
Nicola Brocca
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