Infine, regalatevi il piacere per gli occhi (Febbre Tropicale, la fine è solo un altro inizio)
Fosse stato per noi, non avremmo mai voluto scriverla questa pagina. Perché chiude un capitolo, un periodo, un’esperienza. Perché chiude un blog al quale siamo stati legati per sei mesi intensi, che un po’ ci ha cambiati e speriamo che un po’ abbia cambiato anche voi. Perché è un epilogo e come tutti gli epiloghi ci prende alla pancia, ci stringe la gola, insomma ci smuove qualcosa dentro.
L’ultimo libro che abbiamo letto in viaggio è un diario che Hermann Hesse scrisse della sua avventura nelle Indie, agli inizi del ‘900. L’abbiamo trovato in uno scaffale in legno sulla spiaggia di un’isola delle Perhentian, in Malesia, poco prima di prendere il volo di ritorno. Usato, ingiallito, nella versione italiana, se ne stava lì chissà da quanto tempo.
A parte la riduzione drastica del rischio di malaria, la diminuzione degli animali selvatici e l’evoluzione dei mezzi di trasporto, non ci sembra che sia cambiato molto nelle linee generali: il multiculturalismo, gli odori e i sapori, i mercati e i mercanti, le stoffe, le spezie, le case in legno, la gentilezza e i sorrisi, il caldo e i monsoni, il vento che viene dal mare, il fascino dell’Oriente, sono ancora tutti lì, presenti ed elettrici come l’aria prima di una tempesta, che spaventa e attrae.
Come qualcosa della quale, in qualche modo, non si fa a meno e ora mi spiego alcune cose.
Mi spiego perché quella notte nella foresta del Bolaven Plateu in Laos, Pascal, cuoco francese nella grigia Inghilterra, alla sua settima visita nel Paese degli elefanti, ci ha raccontato dei suoi tanti viaggi in Sud est asiatico. E se non lo visiti davvero, non riesci a capire fino in fondo per quale motivo un viaggiatore dovrebbe tornare per sette volte nello stesso Paese.
Mi spiego perché Lee, vecchio contadino canadese che ha speso la vita a coltivare i suoi campi e a curare i suoi animali anche d’inverno, anche con meno quaranta gradi, che non ha mai lasciato il Canada, raggiunta la pensione abbia deciso di trascorrere il resto della sua vita a viaggiare per il mondo. E che con i suoi bellissimi occhi curiosi e le sue grandi mani segnate dal lavoro, seduto sulla spiaggia davanti a uno splendido mare thailandese, ci raccontasse che, tra tanti viaggi, l’Asia è il continente in cui torna più spesso.
Ecco perché Trevor, americano di New York, e Lisa, tedesca di Berlino, che vengono da due delle città più gettonate al mondo, hanno scelto proprio Hanoi, caotica con l’anima, per vivere e lavorare.
E perché Marcella e Marco, giornalisti torinesi dalla vita senza inverni, non rinunciano mai all’Asia, perché hanno dedicato tutto alla scoperta del mondo e ne sanno più di tanti grandi esperti. Perché hanno iniziato a fare viaggi indipendenti da giovanissimi, roba da farti rimpiangere i tuoi diciott’anni.
Ecco perché chi viaggia in modo indipendente torna a viaggiare e non si ferma mai. Perché il viaggio indipendente ti regala un punto di vista eccezionale, il tuo. Non quello filtrato dall’agenzia o dal villaggio turistico. Ti regala grandi incontri e grandi racconti. E perché fa bene ai Paesi, soprattutto alle zone meno “in vista”. Il dibattito sui vantaggi o i danni apportati o provocati dal turismo è noto, trito e ritrito.
Secondo noi, nelle nuove forme di sostenibilità, il turismo è una manna dal cielo per tanti tesori storici che, altrimenti, cadrebbero in pezzi.
Basti pensare al contributo portato dall’Unesco in tante città del mondo che ora sarebbero abbandonate a se stesse e al cannibalismo edilizio. L’abbiamo visto in Sud Est asiatico, ma l’avevamo già visto altrove: in India, in Albania, anche in Italia. Negli ultimi dieci anni, soltanto nella nostra regione, in Puglia, sono stati salvati dalla decadenza decine di paesini barocchi. E allora crediamo di poter sopportare un mese di bolgia turistica all’anno, se la ricompensa è la salvezza dei nostri tesori, che più passa il tempo e più diventano inestimabili.
Abbiamo aperto questo blog per il piacere di scrivere, ma soprattutto per cercare di dare voce a un tipo di turismo meno invasivo e più personale di quello generalmente diffuso tra gli italiani. Per cercare di spiegare che si può facilmente fare a meno degli intermediari e dei viaggi organizzati, che non è stressante, non è pericoloso, è più divertente, in un certo senso più comodo e sicuramente più formativo. Anche di tanti corsi ad hoc, che ultimamente spuntano come funghi: ci fossimo iscritti ad esempio a un ennesimo, costosissimo, master universitario su usi e costumi del Sud Est asiatico ne sapremmo un decimo di quanto abbiamo imparato in questi mesi. La storia, la cultura di un popolo si respira e si vive sul posto, non soltanto sui libri. Il segreto è quello di uscire, incontrare, parlare, perdersi. Osservare, ricordare, regalarsi il piacere per gli occhi.
Ritorniamo al libro di Hesse perché nel descrivere un mercato malese, ci lascia un passo d’incredibile efficacia per tirare le somme di un viaggio in Asia. Il capitolo si chiama, appunto, “Il piacere per gli occhi”:
Ovunque ci sono tesori da guardare e tutti appartengono a chi sappia trovare in essi il piacere per gli occhi; perché anche se ne comprassi per cento o diecimila dollari, ricaverei per tutto questo denaro solo un oggetto bello, che forse potrebbe presto deludermi; mentre dalla visione di tutti questi tesori dal variopinto splendore di un grande bazar asiatico, non posso portare con me in Occidente che quel che si riflette nel ricordo. Se poi più tardi, ritornando a casa, aprissi una o dieci casse piene di cose cinesi o indiane, sarebbe come se mi fossi portato dietro una o venti bottiglie piene di acqua di mare. Ne portassi anche cento barili, non sarebbe mai il mare.
Il mare, che in piccola parte abbiamo raccontato in questo spazio, ce lo siamo portato negli occhi e il tempo che dovremo aspettare per riprendere in spalla gli zaini e ripartire ci sembrerà sempre troppo lungo.
Maria Elena Ribezzo e Marcello Passaro