Impressioni da Londra, zona maratona
“Raising awareness”, per gli ignoranti come te che ancora si ostinano a non studiare le lingue, è il modo inglese per dire “sensibilizzare”, letteralmente “sollevare la consapevolezza”, ed è pure il motivo per cui innumeri corridori si presentano al via della prestigiosa gara nei costumi più scomodi e bizzarri: rinoceronti, vasetti di yoghurt, alberi e mammelle a zompettare allegri per quarantadue kilometri e poco più. Indubbiamente uno spettacolo divertente, seppur dal canto mio a veder passare un tizio conciato da tigre di peluche la mia consapevolezza, nel senso di quanto me ne freghi, del rischio di estinzione del suddetto felino s’è sollevata meno dell’ottantenne morto a Milano tra Viagra, coca e tre signorine tre. (Grazie Corriere per continuare ad occuparti di notizie serie e rilevanti).
Ma forse sono io a non cogliere, a non capire che “raising awareness” è semplicemente un benevolo eufemismo per l’ancor meno traducibile espressione “attention whore”.
Dall’altro lato dello spettro della mia stima sta invece Mike,sessantatreenne di Seattle che incontro in serata al pub, un affezionato di maratone che si rinfresca a vin rosso dopo aver completato la gara in tre ore e mezza: una prestazione – o una bugia – di livello stratosferico anche per un giovanotto. Si permette di pontificare e insegnarci come vivere, con l’autorità che gli viene dall’aver vissuto come si deve: autostoppista nei cinque continenti dai venti ai quarant’anni, poi padre di famiglia, imprenditore di successo e corridore. Come spesso accade nei pub londinesi, la serata si dilunga alcolicamente, e come spesso accade con gli yankees, si conclude con uno scambio di biglietti da visita, perchè come si insegna oltreoceano le opportunità possono nascondersi dietro ogni angolo, se non proprio in una stanza d’albergo di Milano.
Davide Miozzi