Il sasso nel bicchiere. Longarone, 50 anni dopo
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua – diceva Dino Buzzati – e l’acqua è caduta sulla tovaglia. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri – continuava lo scrittore e giornalista sul Corriere della Sera – il sasso era grande come una montagna e sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.
Sono parole vecchie di 50 anni, ma non sappiamo trovarne di migliori, perché il dolore non sembra essere invecchiato e le descrizioni per chi non c’era o non era nato sono difficili. Cinquant’anni fa, il 9 ottobre del 1963, un calcolo sbagliato dell’uomo provocava 1909 morti: una frana si staccava dal monte Toc, cadeva nella diga del Vajont, provocando un’onda che spazzava via Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova e Fae’.
Quella diga probabilmente non si sarebbe dovuta neanche costruire, tanto il pericolo era palese. Non solo: si poteva evitare la strage, una volta costruita la diga, svuotandola da quell’acqua carica di morte. Sì, l’uomo e le sue scelte hanno condannato quelle persone. Una condanna più efficiente di quelle della nostra magistratura: pena di morte scelta nel costruire la diga, nel volerla riempire, nell’ignorare o tacitare i geologi contrari (molti, però, furono conniventi), nel querelare Tina Merlin, la giornalista che aveva avuto il coraggio di dire, dati alla mano, “quella diga ci ammazzerà tutti”. L’aveva detto prima, inascoltata. Il suo “Sulla pelle viva”, il libro che riassume storia e allarmi, non è un libro: è sale sulla ferita.
Siamo rimasti un popolo di parole, e nessuna soluzione. Questo verrebbe da dire dopo quanto successo a Lampedusa la scorsa settimana. Un giudizio forse affrettato, ma il ricordo del Vajont subito dopo Lampedusa sembra quasi una sinistra chiusura di un cerchio fatto di impotenza e morte.
Marco Paolini nel suo spettacolo racconta, fa toccare con mano, quanto successo a Longarone. Oggi piove in molta parte d’Italia, piove a Longarone, sarà così anche mercoledì, data precisa della commemorazione. Una tragedia finita con pene molto miti per i colpevoli riconosciuti. Ci uniamo al ricordo di quanto accaduto perché, come detto, la memoria è l’arma che abbiamo per tenere viva la speranza che cose del genere non accadano più. Non è affatto scontato come potrebbe sembrare: quello che chiamiamo “progresso” sempre meno si sposa con l’ambiente circostante. E Longarone potrebbe essere oggi, domani, in mille altri posti.