Il Cricket, gli immigrati e la sicurezza
Vi racconto una storiella molto breve. Siamo a Piazza Gasparotto, a Padova, in una zona urbana a poche decine di metri dalla stazione. Come in tutte le città moderne, in queste aree di transito si raccolgono emarginazione e devianza. E qui, malgrado mille tentativi e tanti soldi spesi in passato, sembra che non si riesca proprio ad allontanare tanto lo spaccio, quanto il consumo di droga. L’area è infatti molto ampia, con diverse vie di fuga e in parte disabitata: il luogo perfetto per comprare un po’ di bamba o bucarsi all’aria aperta. Si prova negli anni con vari progetti e gare pubbliche a riqualificare l’area, ma i risultati sono scarsi. Ci prova persino un barista, un po’ di destra, ma anche spesso capace di aiutare i disperati, a fare qualcosa, ma niente. Ci prova anche La Mela di Newton che, con qualche risultato, insieme al Comune porta un po’ di musica nella zona, rendendola finalmente un posto che assomiglia di più a una piazza che a un non luogo.
Poi da qualche settimana, degli indiani che hanno aperto un take-away su corso del Popolo, decidono di usare lo spiazzato per giocare a cricket. Si tratta, in burocratese, di una occupazione illegittima di una area pubblica. Ma, come racconta una persona che per lavoro passa tutti i pomeriggi dalla piazza, da quando c’è il cricket, di pomeriggio – miracolosamente – lo spaccio è scomparso. Ora, va ricordato che un paio di anni fa il Comune di Padova aveva negato alla stessa associazione un prato pubblico per giocare a cricket, poiché appunto poteva ‘disturbare’ la quiete pubblica, in una area, pressoché disabitata, vicino allo Stadio. Cosa insegna questa storiella? Semplice: solo quando si comprenderà che il concetto di paesaggio non può essere più governato definendolo in termini architettonici, forse si farà qualche passo avanti sia nell’integrazione delle minoranze, sia nell’implementazione di politiche di capitale sociale e sicurezza.
Vincenzo Romania