Il carcere va a fuoco e le guardie sparano, in Honduras dopo il golpe è emergenza diritti umani

355. Questo è il numero, non ancora certo, dei prigionieri che la notte fra martedì e mercoledì scorso sono morti nell’incendio del carcere di Comayagua, a 140 chilometri al nordovest della capitale Tegucigalpa. Un video pubblicato dal quotidiano El Heraldo, lascia pensare che il numero di morti non sia da attribuirsi solo alla fatalità. Nel video si sentono gli spari che confermerebbero la versione secondo la quale i militari in servizio avrebbero sparato contro i prigionieri per evitare una loro fuga. Meglio morto che fuggito.

Nel video si possono sentire anche  le urla dei carcerati che chiedono aiuto senza aver risposta. Il presidente del Comitato per la Difesa di Diritti Umani in Honduras (CODEH) Andrés Pavón, ha promesso un indagine per capire se si sono verificate violazioni dei diritti dei prigionieri.

Da parte sua, il Consiglio Civico di Organizazioni Popolari e Indegeni di Honduras (COPINH) accusa ai militari di aver sparato lacrimogeni e pallotole contro i familiari dei prigionieri e ha interpreto la tragedia come un sintomo della “sconfitta del regime, che ha dimostrato tutta la sua incapacità nel garantire la sicurezza agli honduregni e l’unica risposta che offre è repressione, militarizzazione, più povertà, violenza ed esclusione”.

Il documento del COPINH è stato firmato lo scorso mercoledì a Colón che è una regione che si trova al nord del paese sull’Oceano Atlantico. E da ieri è ufficialmente la sede dell’Incontro Internazionale di Diritti Umani in Solidarietà. Fra le persone più coinvolte nell’iniziativa l’italiana Alba Marconi, che giovedì (17 febbraio) ha parlato insieme ad altre due donne ai microfoni di LatinoAmericando. I motivi per affrontare l’argomento diritti umani avanzano, soprattutto da quando nel 2009 un golpe di stato ha portato al potere come presidente Roberto Micheletti, figlio di bergamaschi (poi rimasti in carica fino al 2010).

L’incontro ha come scopo “evidenziare la continuità del golpe in Honduras e la sua manifestazione in tutte le istituzioni responsabili dell’impunità e la aggravarsi della violenza dello Stato”.  Ma anche “rafforzare i vincoli solidali e di fratellanza fra le lotte e i popoli del mondo, partendo dall’azione comune dinanzi alla grave situazione di violazione di diritti umani”. Il terzo scopo è dare “visibilità e denunciare la violazione dei diritti umani in Honduras e in particolare al Bajo Aguán (ndr: al dipartimento di Colon)”. L’ultimo obiettivo è “capire il rapporto fra la militarizzazione, la trasnazionalizzazione, la lotta per la terra e la violazione ai diritti umani nella regione e nel Paese”.

Gli organizzatori sono convinti che “la creatività, l’affezione attiva e la collettività vitale, hanno il potere di smontare la cultura della violenza che sostiene la logica militare”. E denunciano che le organizzazioni contadine subiscono “processi di repressione ed sterminio”.

Il fatto che l’incontro porti la parola “internazionale”, la dice lunga sul coinvolgimento di attivisti di diversi parte del mondo che si incontreranno per dibattere sulla difficile situazione. In Italia abbiamo la possibilità di assistere a Milano il fine settimana 31 marzo e il 1 aprile ad un incontro formativo per i campi di osservazione di diritti umani in Honduras. L’appuntamento, organizzato dal Collettivo Italia Centro America, è per chi intende un giorno andare di persona in Honduras e offre una formazione completa che va dalla spiegazione del contesto storico, politico e economico attuale, fino alle proposte su cosa fare quando si rientra in Italia.

Il Comitato di Familiari di Detenuti Scomparsi dell’Honduras (COFADEH) denuncia “le costanti minacce contro le ONG che arrivano da gruppi armati e l’omicidio selettivo di imporanti attività in diverse regioni del Paese”. Aggiunge che “tra il 2009 e il 2011, si sono registrate più di 1045 aggressioni discriminate in minacce, omicidi, attentati, torture” e “la promulgazione di leggi che attentano contro i difensori di diritti umani”. Per questo sono convinti che esista un processo di criminalizzazione intorno ai difensori dei diritti umani.

La COFADEH precisa che nella zona di Aguán sono stati assassinati 46 leaders contadini che lottavano per rivendicare i diritti umani della popolazione contadini e “la richiesta delle terre usurpati da grandi latifondisti”.  “La situazione – aggiungono – lascia allo scoperto il livello di vulnerabilità in cui si trovano i difensori dei diritti umani”.

La situazione è peggiorata dal golpe dal 28 giugno 2009, quando Micheletti sostituì Manuel López Obrador, il quale stava prendendo posizioni troppo vicine al blocco latinoamericano del presidente venezuelano Hugo Chávez Frías e si allontanava dagli Stati Uniti. Dopo Micheletti, ci sono state le elezioni vinte da Porfirio Lobo Sosa, in carica oggi da gennaio 2009. L’atto elettorale non ha mai avuto un riconoscimento unanime e per questo le organizzazioni sociali le qualificarono con l’ossimoro “elezione golpiste”.

L’Honduras fa i conti con le proprie contradizioni, con le violazioni ai diritti umani da un parte, ma anche con chi le contrasta. E non solo durante l’incontro internazionale che inizia in queste ore.

Gustavo Claros

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